28 dicembre 2012

Orfini, a voi romani

Perché "voi"? Perché me ne sono andato in collina before it was cool e quindi non posso votare per le primarie a Roma città. Pazienza.
Però vi dirò per chi votare.

Orfini è quello che per il PD si occupa di cultura e informazione. Io lo sapevo già perché lo conosco, ma in seguito c'è stato altro che me l'ha reso più chiaro.
Per casi della vita conosco un sacco di restauratrici, e anche se la grammatica vorrebbe che usassi il maschile lo scrivo al femminile, perché sono quasi tutte donne.
Queste restauratrici un giorno mi spiegano che c'è un concorso, al termine del quale o si diventa restauratrici o si diventa niente. Non conta cosa hai fatto, non conta se sei stato in cantiere per decenni, non conta se hai messo le mani sul Colosseo o sul Cristo morto del Mantegna, o sei dentro o sei fuori.
Vi ricorda per caso il recente concorso scuola? Probabile, perché parte dallo stesso concetto di società della destra: un cerchio di fuoco che se viene saltato destina alla gloria, se no a una vita da precari o sottoqualificati.

Ora alle restauratrici e a Orfini questa legge, quella del concorso, faceva un po' schifo, e a dire il vero anche a me, ma io sono meno importante.
Da qui quindi comincia la storia, raccontata da lui, di come si è riusciti a modificare quello scempio, ed è una storia da leggere, perché fa capire come dovrebbero essere risolti i problemi di una categoria: parlando con chi le rappresenta, facendo una proposta che possa raccogliere maggior consenso possibile, trovando le persone che possano portarla avanti.
In due righe pare facile, ma non lo è, soprattutto se la maggioranza parlamentare è proprio di quelli che avevano scritto la legge precedente.

Posso capire che in un periodo di gente che dice che se non si fa come dico io me ne vado, anzi, se non si fa come dico io scrivo il programma di un altro partito, cose come il dialogo o il compromesso appaiano un po' démodé, però io vorrei che invece si agisse il più possibile in questo modo.
E vorrei pure che non si prendessero categorie intere a caso, siano iscritti FIOM, tassisti, insegnanti o rumeni, e gli si buttasse addosso la croce come ha fatto la destra, e talvolta purtroppo anche il governo tecnico, ma che piuttosto ci si parlasse.
E immagino, so, che Orfini farà così.

Se arrivati fino a qui vi siete chiesti perché lo chiamo sempre Orfini e non con il suo nome, Matteo, è perché lo chiamano tutti così, anche la figlia.
Tanto sulla scheda dovete scrivere il cognome.

20 dicembre 2012

Chemical Chaltrons: Enjoy yourself! It could be your last Christmas…


Finalmente arriva dalla nostra scena underground la novità che tutti si aspettavano, seconda soltanto al recente concept-album di Orietta Berti & Marlene Kuntz (“Nuotando nell’aria finché la barca va”).

Infatti, dopo due album entrati nella storia - per la tossicità delle loro copertine - i Chemical Chaltrons, in concomitanza con le imminenti festività natalizie, tornano sulle scene con un progetto tutto nuovo dove rivisitano a modo loro le più celebri canzoni di Natale.

Il disco, in uscita il prossimo 8 Dicembre per la San Vittore Records, s’intitolerà “Enjoy yourself! It could be your last Christmas…” ed è stato finanziato a sua insaputa dallo IOR nonché prodotto artisticamente da Quinsi Gions, storico spacciatore di Michael Jackson durante la registrazione di “Thriller”.

Così, Antobel & Numero6, da sempre impegnati in ardite sperimentazioni fini a sé stesse, accompagneranno le vostre giornate di festa regalandovi, a vostre spese, tutte le più belle melodie natalizie che da sempre allietano grandi e piccini: e così, da “White Christmas”, riproposta in chiave hardcore (nonostante la diffida notificata dai legali di Sinatra) a “Jingle Bells”, completamente rinnovata dal suo arrangiamento black- metal, passando dalla suite prog di 35 min. che veste di nuovi colori “Adeste Fideles”, fino alle ipnotizzanti convulsioni technodisco di “Tu scendi dalle stelle”, il duo labronico/capitolino rasenta con stile il vilipendio senza mai rinnegare le sonorità che lo hanno reso famoso nei circuiti delle scommesse clandestine e nelle toilettes dei treni regionali.

Un disco davvero indispensabile per chi vorrà crogiolarsi al tepore di un camino acceso nonché assaporare momenti di vero panico e terrore!

(le precedenti puntate)

03 dicembre 2012

Componendo i contrasti

Pagare. In un futuro non troppo lontano le primarie potrebbero non avere restrizioni all'uso di TV e quotidiani come è stato per queste ultime. A quel punto un candidato che aspiri alla guida del partito/coalizione potrebbe perfino non essere un politico, ma banalmente uno che inonda l'etere di messaggi contro il vecchio, l'apparato, le regole. E sì, lo so che è già successo, ma mi riservo la libertà di non farmi piacere tutto quello che succede.
Anzi, è proprio una cosa che non mi fa dormire, quindi per rilassarmi durante questo estenuante scontro mi sono soffermato un po' di più, ché non me li ero mai filati, sui cosiddetti influencer, orrida parola inglese che descrive quella che è la versione moderna e telematica dell'agit-prop, anche se a me piace di più una parola italiana fuori moda: il sobillatore.

Il sobillatore moderno ovviamente si muove sui social network, altrettanto ovviamente sa scrivere bene, la bella lingua checché se ne dica funziona sempre, ma soprattutto è bravo a far intendere che la sua posizione sgorga dal cuore e non da un bonifico.
Ora i vecchi dell'apparato che difendono le regole punteranno i fucili, ma come sarebbe a dire, non abbiamo sempre detto che contano come il due di coppe quando regna bastoni? È vero, uno che ti sta al gazebo dodici ore a Rieti a novembre fa prendere molti più voti di uno comodamente seduto davanti a Twitter, però è pure vero che buttiamo un sacco di soldi in propaganda molto più sterile.

Per esempio i manifesti. Basta con i manifesti. Costano almeno un euro l'uno (tanto) e non servono quasi a niente, funzionano un pochino solo per gli eventi, per il resto sono carta sprecata.
Secondo me invece i sobillatori vengono via con molto meno. Magari non sono tutti economici, un ex direttore di rete generalista ti costa di sicuro di più, però pagandone qualcuno decente tutti quelli che, come me, si informano quasi esclusivamente in rete si risparmierebbero un mese di ansia da sepoltura sotto una valanga di voti per Renzi, o per qualunque altro presunto rinnovatore che tra qualche anno brandirà la riforma Ichino come moderna.
Per dire, alla fine pure da me sono venuti tre o quattro con l'email di domenicamenefregodelleregole.it, e se il divario non fosse stato quello che alla fine è realmente stato sai a che canizza avremmo dovuto assistere?
Pensiamoci, pensiamo a dei sobillatori d'apparato, della conservazione e dell'usato sicuro, tanto peggio che non farci rimediare un voto non potranno fare, in compenso avremo risparmiato sui manifesti e sulle bronchiti che ci becchiamo ad attaccarli di notte.

Vincere. Siamo andati al governo due volte: una volta ci ha fregato Rifondazione, una volta Mastella.
Quando si parla di alleanze in sezione vedi la gente che sgrana gli occhi o si tiene la faccia tra le mani.
C'è da capirli, e c'è da capire che, quando arriva uno che ti dice di andare da soli, l'orgoglio di partito e la fifa possono fare breccia negli animi pur abituati a tutto dei nostri elettori.
Io ho un'idea mia, considero le alleanze del tutto irrilevanti.
Stare al governo vuol dire comandare i servizi segreti, vuol dire decidere se mandi l'esercito in Libano, vuol dire organizzare soccorsi in caso di terremoto o alluvione, vuol dire sciogliere consigli comunali in mano a organizzazioni mafiose.
Soprattutto vuol dire trovare i soldi per le cose suddette e per le migliaia di altre che possono capitare, e hai voglia se capitano, in un paese di sessanta milioni di persone.
Se il tuo programma è non fare accordi con il partito di uno che nel '97 ha detto che i gay sono pervertiti, hai il programma di uno che entra da Eataly e non compra niente.
Governare, se ci fosse bisogno di ripeterlo, vuol dire prendersi le responsabilità, non eluderle.

Ciò non toglie che due paroline sui nostri alleati più o meno probabili si possano dire.

Fossi più borghese potrei fermarmi al fatto che riconoscevo dall'aspetto e dall'abbigliamento, con precisione vicina al 90%, quelli che votavano per Vendola. E no, non è una cosa di cui si dovrebbe andare fieri.
Dentro SEL, partito giovanissimo, c'è ancora un problema di sistemazione ideologica: antipolitica, madre della folle decisione in Sicilia di andare con l'IDV e sparire dall'ARS, mentalità da collettivo studentesco, dove non si riesce a distinguere tra Pace Nel Mondo e rifacimento dei marciapiedi di via di Tor Cervara, e non di rado sordo rancore nei confronti del PD, colpevole di incitamento al voto utile.
Non che tutte queste cose si verifichino contemporaneamente, ma per me sarebbe meglio se non si verificassero e basta.
Eppure Nichi il comunista è al comando da otto anni di una regione che alle politiche continua allegramente a votare a destra. Come fa?
È semplice, prende decisioni, interviene quando c'è un problema. In una parola: governa. 
Non ha trasformato la sua regione nella Repubblica Socialista Ecologica e Libertaria delle Puglie, è riuscito a far schierare l'UDC (orrore!) contro il PDL, e se non bastasse è pure uno che ha fatto sbattere il muso due volte a d'Alema. Non sono molti quelli che hanno l'opportunità di raccontare una cosa simile.

L'UDC, dal canto suo, non riesce a fare altro che vaghe proposte di montismo che finora non l'hanno schiodata da qualcosa di più del 5%, quasi tutto proveniente dal voto in Sicilia.
Tra l'altro l'area in cui si vorrebbe piazzare il partito di Casini a me pare piuttosto ricca di offerta ma povera di domanda.
Per stare però più sul concreto prendiamo un evento recente: pochi giorni fa la Camera ha approvato definitivamente una legge che elimina dal Codice Civile la distinzione tra figli legittimi e naturali, che per capirsi sono i figli nati dentro e fuori dal matrimonio.
Tra i figli naturali ci sono, o meglio c'erano, anche quelli nati da rapporti incestuosi, cosa di cui mi pare difficile dar la colpa ai figli.
La maggioranza che ha approvato la legge è stata quasi totale, hanno votato contro solo 31 deputati, tra cui sei o sette dell'UDC, che hanno motivato il loro no con la motivazione secondo cui questa legge "legalizza l'incesto".
Non perdo tempo a smontare la mistificazione, ma pongo una domanda: ha senso presentarsi di fronte agli elettori con degli arnesi che fanno sembrare Torquemada un illuminato progressista?
Perché qui non è in gioco la rilevanza dei cattolici in politica, tema serio che mi auguro non dipenda da voi, ma quello di candidare dei tizi che verranno scambiati per i simpatici picchiatelli che si incontrano a Oxford Street e che dicono che la fine del mondo è vicina, altro che agenda Monti.

Contare. Al primo turno Renzi ha preso gli stessi voti che aveva preso Franceschini nel 2009. Potete considerarlo un caso o un dato che significa poco, per me invece significa tutto.
La cosa che può far sorridere è che sia Franceschini che Marino, i due contendenti di allora, oggi sostenevano Bersani, ma è chiaro i rapporti tra i due modi di vedere le cose, al di là delle persone, sono gli stessi di tre anni fa.
C'è un pezzo di partito che ha un'idea di un certo tipo, un'idea che è quasi più antropologica che politica: capo forte (le correnti sono sempre il male) e fine dei gruppi sociali di riferimento. Inutile dire che l'altro pezzo, quello che ha preferito Bersani, la vede in maniera opposta.
Da questa differenza ne discendono tante, Berlusconi parte del sistema o anomalia del sistema, alleanze o vocazione maggioritaria, partito solido o liquido, bipolarismo o bipartitismo e tante altre che non elenco.
E come per tutte le differenze del PD la linea che divide non passa per il vecchio confine tra DS e Margherita, malgrado questa sia la storia che sentite raccontare più spesso, questa differenza è vecchia, era già nei DS

Ci si potrebbe legittimamente chiedere come si fa a convivere, e la risposta è perché il PD è l'unico partito che ha un elettorato fedele, cioè gente che il PD lo voterà a vita qualunque cosa succeda, ed è l'unico ad averlo, non come il PDL i cui elettori a Parma hanno virato verso il M5S con lo stesso patema con cui si sceglie che paio di mutande mettersi.
Nessuno rinuncerebbe a questo capitale di elettori, nessuno se ne andrà a farsi una listarella personale.

Ogni tanto, quando in questa campagna elettorale venivano citati modelli danesi, tedeschi o inglesi, mi chiedevo se si pensa mai che questi paesi hanno partiti che non cambiano nome a ogni elezione ma sono gli stessi da decenni, se si pensa mai che i rapporti tra le loro istituzioni sono immutati da non si sa quando e che non hanno mai sentito il bisogno di leggi elettorali che millantano solidità di legislatura a coalizioni che poi durano da Natale a Santo Stefano.
Se si pensa mai che alla base della loro prosperità, presunta o meno che sia, ci sono delle regole che non vengono continuamente messe in discussione, se non proprio infrante, per le cause più disparate: l'Europa, i mercati, Moody's, la produttività, il debito pubblico, la governabilità, la legalità, gli zingari.

Se si pensa mai che noi andiamo avanti così da vent'anni, e chi ha oggi vent'anni ha visto solo questo spettacolo.
Io credo che non sia giusto.

(lo so che è il secondo post di fila che intitolo con una frase di Guzzanti, ma sono stato impegnato a cercare di dormire, con scarsa fortuna. Ho votato Bersani. Nonostante la soddisfazione continuo a credere che le primarie di coalizione con più candidati dello stesso partito siano una colossale scemenza)

23 ottobre 2012

Allora rivolete il comunismo

Qualche giorno fa l'unico filosofo che conosco ha scritto una cosa che mi è piaciuta molto sulle regole.
Anche a me va di parlare di regole, però io faccio il militante (tra le altre cose), quindi il mio è un punto di vista, per darmi un tono, complementare.

Le primarie del centrosinistra, dette "Italia bene comune", ci accompagneranno per il prossimo mese, se siamo fortunati. Io credo che ne parleremo anche oltre.
I candidati sono quelli che conoscete tutti, ma uno dei candidati, che chiameremo Cellacchione, ha la peculiarità di avercela un po' con tutti, e di avercela con le regole che, secondo lui, lo sfavoriscono o avvantaggiano gli altri.
Cellacchione ha un sacco di gente che gli va dietro, ci mancherebbe pure dato che è candidato, e questa gente ce l'ha con le regole e un po' con tutti.

Una regola che non piace ai cellacchiotti (li chiameremo così) è quella che dice "Tale registrazione dovrà avvenire con procedure distinte dalle operazioni e dall’esercizio del voto." (la trovate qui, il primo PDF, punto 3).
Per capire cosa non va bene vediamo cosa si fa alle primarie, che poi è quello che faccio io dato che più o meno sto sempre nell'ufficio elettorale.

Il signor Votante arriva, saluta, tira fuori il documento, tira fuori la tessera elettorale, tira fuori i due euro, consegna la tessera, se tutto va bene prende la scheda, mentre nel frattempo gli scrutatori scrivono la ricevutina per i due Euro, riempiono gli spazi per le generalità, prendono la scheda votata, restituiscono tutto il ciarpame anagrafico, danno la ricevutina, il signor Votante firma e si salutano.
Pare facile? Non lo è, e servono due persone per farlo in maniera spedita.
Peraltro spesso la rogna peggiore è il resto a chi ti si presenta senza spicci, per non parlare della cassa che a una cert'ora è piuttosto gonfia e merita attenzione

Cos'ha quindi il regolamento che a Cellacchione non piace? Dice che un paio di quelle operazioni, per l'esattezza riempire le generalità e prendere i due Euro, viene fatto altrove, o per dirla meglio quel momento che era unico per tutte le precendenti primarie viene scisso.
Altrove dove? Non è importante, quel che conta è che sia un altro banchetto con altre persone.
E da quel banchetto dove ci si registra, con un tagliandino doppio (primo turno e ballottaggio), si va all'altro a votare materialmente.

La domanda che ovviamente segue è "è meglio così o no?".
Be', se dovessi ragionare in termini di sanità mentale di scrutatori e presidenti senza dubbio sì, ma non ci sono solo loro, ci sono anche i votanti.
Restando sul concreto, le primarie si svolgono praticamente sempre in strutture del PD o di enti "vicini", tipo l'ARCI, fondamentalmente perché sono gli unici ad avere ancora delle sedi, quindi è abbastanza improbabile che le strutture per la certificazione siano fisicamente diverse come sostengono i cellacchiotti: le sezioni non sono così tante, e la stragrande maggioranza dei comuni italiani ne ha una sola, in cui per giunta bisognerebbe trovare un numero non indifferente di persone disposte a farsi dodici ore in sezione, seguite da scutinio e trasporto in federazione, da aggiungere ai certificatori.
Inoltre le registrazione parte, come scritto nello stesso documento, 21 giorni prima del voto vero e proprio.
Questo in realtà permette l'esatto contrario di quello che teme Cellacchione, e cioè permette di mettersi a registrare elettori prima e in posti in cui non è stato mai possibile farlo.
Per fare un esempio con il quartiere romano di Montesacro, io posso mettere banchetti per la registrazione a piazzale Adriatico o a piazza Capri, mentre il voto avviene, come sempre, (vicino) a piazza Sempione in sezione, dove nessuno tra l'altro mi vieta di mettere un altro banchetto il giorno stesso.

Non si capisce quindi perché questa regola dovrebbe scoraggiare o peggio impedire il voto per il candidato Cellacchione, a meno di non pensare che gli altri candidati siano più avvezzi di altri a registrarsi, cosa curiosa dato che è la prima volta che si fa così.

I cellacchiotti però se la sono presa anche con un'altra regola: "Possono partecipare al voto i giovani che compiono 18 anni entro il 25 novembre 2012" (punto 3.2 del secondo PDF, al link di prima). In pratica non votano i sedicenni, come invece era avvenuto per altre primarie.
I cellacchiotti pensano che questo li danneggi, dato che i minorenni correrebbero in massa a votare Cellacchione.

Per carità, in politica è sempre così, il disinteresse è con me e l'interesse con gli altri, i giovani sono con me i vecchi con gli altri, la parte migliore della società è con me eccetera, siamo gente di mondo, non ci stupiamo.
Però dato che non esiste nulla, manco mezzo numeretto, sulla distribuzione dell'età dei votanti alle primarie, è un po' rischioso buttare lì cifre tipo "200-300 mila" o parlare di "bias generazionale" (qualunque cosa voglia dire).
In più vi posso dire, ma è solo la mia esperienza da presidente a parlare, che di sedicenni alle primarie non ne ho mai visti: zero, niente, e non vivo in un posto di ottuagenari tipo Prati o Trieste, sto nell'ultraperiferia, è pieno di ragazzini che potrebbero votare.

Se poi volessimo andare ancora più su, oltre le singole lagne, dovremmo anche guardare l'inizio del primo PDF che vi ho già citato. Nel preambolo compare la frase "previa consultazione dei rappresentanti dei candidati".
Ora io capisco, e so, che parlare di regolamenti e statuti è una rottura di palle inenenarrabile, che Luigi Berlinguer purtroppo non è Jessica Alba, e umanamente sono vicino al rappresentante di Cellacchione che durante la discussione magari si è appisolato o si è messo a giocare con lo smartphone.
Però, come si dice dalle mie parti, a chi tocca 'n se 'ngrugna, e se questo rappresentante aveva qualcosa da dire poteva dirla, in riunione o subito dopo.
È vero che l'"a mia insaputa" è sempre di gran moda qui, ma una twittata (non so chi sia il rappresentante ma Twitter ce l'ha di sicuro) poteva al limite anche farla.

Ricorrendo quindi al mio proverbiale ottimismo, qualità che mi ha permesso da romanista di sinistra di non essermi lanciato nel Tevere già molti anni fa, non crederò alla malafede di così tanti che parlano a vanvera.
Crederò a una semplice ignoranza, veniale per carità, ché non è obbligatorio saper di primarie.
Certo, ne esce fuori che tutti quelli che sono sui social network e sono sostenitori di Cellacchione sono anche tutti quelli che blaterano di cose che vistosamente non sanno, cosa statisticamente poco credibile.
Ma, come visto sopra, la statistica, senza un po' di fantasia, non piace a tutti.

26 settembre 2012

Ma non puoi ingannare tutti quanti tutte le volte

Vent'anni fa abbiamo deciso che in Italia c'erano le regioni locomotiva e le regioni scroccone.
Le regioni locomotiva sono quelle del nord, dove nessuno riesce a stare senza lavorare e la corruzione non esiste.
Un cittadino del nord si alza la mattina e cerca subito di lavorare: ci sono cantieri che non sanno come fare, hanno il personale al completo ma c'è sempre gente che entra e cerca di prendere una pala o fare una gettata di cemento.
Tutto il contrario delle regioni scroccone, quelle del sud, dove si alzano alle dieci, dieci e mezza di mattina, prendono il caffè, leggono il giornale, chiacchierano, tanto c'è lo stato che regala loro miliardi per non fare nulla.

Allora vent'anni fa abbiamo deciso che le regioni dovevano avere più poteri.
Basta con questi soldi che non si sa dove vanno a finire, come fa un veneto a sapere cosa fanno con i suoi soldi a Roma? E se ci fanno un asilo in Molise? Orrore, padroni a casa nostra, questo non deve avvenire, i soldi devono rimanere vicino alla gente, così la gente può controllare l'operato della classe politica; se i soldi vengono spesi male vedrete come la gente manderà a casa gli amministratori incapaci o corrotti, e vedrete come questo ci farà risparmiare.

E quindi vent'anni fa abbiamo deciso che le pastoie legislative erano dannose per l'efficienza degli enti locali.
Ma si possono impiegare 550-600 giorni per scrivere una legge? Si può stare come Obama o Hollande, senza la possibilità di fare decreti immediatamente esecutivi? Ovviamente no, serve snellire.
A che serve il consiglio regionale o comunale? A fare discussioni inutili, quando il bene comune si sa dove sta.
L'elezione diretta del presidente della regione, anzi no, del governatore, che si sceglie i suoi collaboratori, e vigila sulla loro correttezza e onestà, questa è la soluzione.

Certo, dobbiamo ammettere che vent'anni dopo queste cose ancora non funzionano, anzi, è pure peggio di prima.
Come è possibile che queste evidenti verità siano state sconfessate?
Il problema, amici miei, è che abbiamo sottovalutato alcune caratterstitiche che sembravano secondarie.
La vicinanza e la rappresentatività delle istituzioni, la libertà di scelta degli elettori, sono elementi che sembrano innocui, e qualcuno li trova perfino positivi, ma che alla lunga possono creare danni incalcolabili.

E noi siamo contro i danni incalcolabili.

Uno stato centrale e unico a Roma, capitale da trasformare in regione, anzi, governatorato, con poteri speciali, e la fine di questa illusoria libertà di scelta, perché illudere non è bello, per questo ci battiamo.
L'Italia si crogiola da secoli e secoli nella vecchia democrazia, non ha idea di cosa siano vent'anni di leadership moderna, di quanto possano essere salutari.
Dopo vent'anni di guida dell'illuminato scelto dal popolo, senza inutili poteri messi di mezzo a disturbare, di costosa politica non ci sarà più neanche bisogno.
Io li ho visti i paesi che si sono fatti due decenni così, ed è tutto diverso: lavorano tutti, il paese è senza disuguaglianze, i cittadini salutano i loro leaders con affetto.
È tutta un'altra cosa.

Credetemi.

09 agosto 2012

L'archetipo di tutto

"Il testo era pronto e battuto a macchina già da due giorni, quando proprio stamattina gli era arrivata la rivista semestrale “Quinterni critici, che riceveva regolarmente in omaggio. E lì, a pagina 227, in una breve recensione del Marpioli a una scelta dell'epistolario di Hart Crane curata dal Riccobono, aveva trovato la carognata, il colpo basso diretto verso di lui.
L'americanista Bonetto riprese a remare con furia. Ciu-ik, ciu-ik, ciu-ik, ciu-ik... Ci sarebbe voluto un po' d'olio, a quel dannato carrello! Non soltanto il rumore gli scorticava i nervi, gl'impediva di concentrarsi, ma l'attrito rendeva la vogata molto più faticosa. Si fermò di nuovo, coperto di sudore. Faceva un caldo tremendo, soffocante, appiccicoso, non dissimile, mutatis mutandis, dalla plumbea cappa d'afa che una volta s'era trovato ad attraversare navigando sul Mississippi. Trasse il fazzoletto dalla tasca dei bermuda a grossi fiori e se lo passò sulla faccia e sul collo; poi, sebbene questo tipo di clima favorisse i reumatismi (e una volta, dopo una gita sul Potomac, ne aveva avuto un esempio memorabile), si tolse di slancio la canottiera fradicia e se ne stette a torso nudo, lo sguardo nel vuoto.
Un inciso, un semplice, innocentissimo inciso, che rendeva la frecciata anche più lampante e velenosa: “... e non, come da taluno si vorrebbe, un punto d'arrivo. Una botta proibita, inferta con astuzia sopraffina. Niente nomi, mani pulite, alibi perfetto. Ma tutta l'Italia, e purtroppo anche tutta l'America, da costa a costa, avrebbe immediatamente capito chi fosse quel taluno, perfidamente messo tra due virgole. Era lui, Felice Bonetto, ecco chi era! Lui che per il Marpioli, al Marpioli, dal Marpioli...
Rabbrividì. L'ira, o un filo d'aria, gli avevano raggelato il sudore lungo la schiena, come quella volta che aveva risalito l'Hudson. Afferrò l'impugnatura gommata dei remi e riprese a scorrere avanti e indietro sul carrello stridulo. Ciuu-ik... ciuu-ik... ciuu-ik..."

(Fruttero e Lucentini, La donna della domenica, 1972)

27 luglio 2012

Dove il vostro si sciroppa un intero film muto francese

Una cosa divertente, perché rischiosa, è andare a vedere dal vivo qualcuno di cui hai sentito una sola canzone. O meglio, qualcuno di cui hai sentito una sola canzone, hai deciso di andarlo a vedere e rimedi due o tre altre cosette su Youtube il giorno stesso del concerto tanto per non fare quello che aspetta l'unico pezzo che conosce.

La rassegna si chiama Pigneto SpazioAperto - Festival delle culture indipendenti, nome evidentemente troppo lungo per avere grossi sponsor dietro. Malgrado ciò dura più di un mese e ci sono settanta concerti, più un sacco di altra roba tra cui il cinema a cura del cineclub Detour.
Il posto è il Torrione Prenestino, quel rudere poco noto e onestamente pure bruttarello che si vede prendendo la tangenziale dalla Prenestina, uno dei tanti che fa paesaggio e di cui nessuno conosce la storia.
A essere pignoli il rudere è di poco fuori dal noto quartiere che dà il nome alla rassegna, ma ci rientra perché per ragioni di marketing il Pigneto ormai include anche Centocelle, Tuscolano, Tiburtino, tutto il VI municipio, Barcellona, Kreuzberg, il lago di Martignano, un paio di isole disabitate nel Mar Cinese meridionale.

Il primo gruppo a suonare si chiama Appaloosa, ed è di Livorno, l'ex capoluogo di provincia a cui musicalmente (e non solo) si vuole un gran bene.
È un gruppo post rock, cosa che si riconosce da un dettaglio: insieme agli strumenti tipici ne hanno uno fatto a forma di scatola di colore chiaro, e sul coperchio della scatola c'è una mela bianca illuminata.
Immaginate i Pink Floyd, o i Sigur Rós, o i God is a Astronaut, immaginate insomma una cosa del genere però senza nessuno che canta. Anzi ogni tanto qualche voce si sente ma siccome non canta nessuno è probabile che sia una delle infinite risorse della scatola con la mela.
Gli Appaloosa sono veramente bravi, e poi io ho un debole per i gruppi con la batteria in primo piano.

Di seguito i Civil Civic, nome che sarebbe perfettamente alla moda per qualche lista elettorale creata "dalla rete" ma che invece sono due tizi che manco vivono nella stessa città e si dice si mandino i pezzi per email (ci credete? No? Manco io.).
A essere sinceri non sono in due, perché in mezzo sul palco c'è il "coso".
Il "coso", che potete vedere qui ma meglio ancora qui, è un cubone da cui esce tutto quello che non è basso e chitarra, escono le luci che vanno a tempo, e secondo me dirige anche occultamente il gruppo, dato che ogni tanto Aaron e Ben (gli umani del gruppo) ci si inchinano davanti.
I Civil Civic si fecero sentire un po' l'anno scorso con un bel pezzo, Run overdrive, in realtà uscito nel 2010, che era l'unica cosa che conoscevo di loro fino al pomeriggio.
All'inizio pensavo avessero qualcosa dei Sonic Youth, poi ho cercato su Google "Civil Civic Sonic Youth" e sono usciti 107 mila risultati, quindi ho pensato che non fosse un'intuizione così originale.
Allora facciamo che non vi dico niente di eventuali influenze, ma solo che ne vale la pena, tanto i loro album (due, in particolare il primo, Rules) sono tutti scaricabili dal loro sito. Qualche pezzo è perfino ballabile.

Se invece volete proprio che vi dica qualcosa sulle influenze vi posso dire che prima di andare al concerto ho comprato dei biscotti Gentilini che si chiamano Novellovo. Sono influenzati dai Novellini, e sono veramente buoni.

31 maggio 2012

Anche perché il commissario straordinario sarebbe lui

Mi permetto di rendere importante una cosa che sembra piccola, ma in un'epoca in cui per ogni cosa sembra necessario doversi affidare al tecnico incontestabile, dopo i Bertolaso commissari straordinari di ogni fregnaccia, dopo una regione come il Lazio che per decidere dove mettere una discarica invoca il prefetto, sentire il presidente dell'Emilia Romagna dire che le amministrazioni locali funzionano benissimo e che dei dittatori di turno con l'imperio non c'è alcun bisogno, in una situazione come quella che sta vivendo la sua regione, a me mette un po' di speranza.
Anche perché è del mio partito, e perché si vede che in certe regioni le cose vanno in modo diverso che in altre.

05 maggio 2012

Sir Stewart Wallace

Ci sono canzoni, poche, come Sabotage dei Beastie boys, che danno energia, fanno alzare dalla sedia, fanno fare una faccia arrabbiata mentre si danno pugni all'aria circostante.
Canzoni,come Sabotage dei Beastie boys, che hanno la ventura di avere il più bel video della storia, che è un'affermazione su cui potreste non essere d'accordo se non capite una mazza, e non intendo di video ma proprio di qualunque cosa.

Sabotage, all'inizio ma soprattutto quando attacca il bridge, ha un suono strano che secondo me è la firma della canzone, che conoscendoli pensavo fosse un qualche campionamento.
Scoprii invece vedendoli su MTV che si trattava semplicemente, se così si può dire, di un basso suonato come se fosse una chitarra.
Il video di quell'esecuzione che mi illuminò l'ho perfino ritrovato e l'ho messo qui sotto, con un po' di nostalgia per quella che era la prima MTV che vedevamo noi, sostanzialmente un canale inglese trasmesso in Italia che guardavamo per esterofila curiosità e personalmente anche perché mi piaceva Pip Dann.
Chi suonava quel basso era Adam Yauch, in arte MCA, che se n'è andato ieri.
Akille trova parole più belle di quelle che potrei dire io, a cui posso solo aggiungere che il fatto che muoia gente che aveva sei anni più di me comincia pure a innervosirmi.

20 aprile 2012

Un giorno tu sarai Glastonbury

Il concerto del primo maggio è Sanremo.
Veramente non so se ha mai cercato di diventarlo, ma alla fine in un modo o nell'altro è andata così.
Forse è perché tutti i concertoni tendono a diventare come il padre nobile del posto, anche gli americani cercano sempre di imitare Woodstock.
Per arrivare a essere un vero Sanremo era necessario avere la caratteristica che distingue il festivalone ligure da tutto il resto, e cioè gli artisti che esistono solo lì, tipo Toto Cutugno o Zarrillo, quelli di cui il resto dell'anno nessuno sente parlare e il primo maggio, ormai, ne ha molti.
Negli anni in cui ci andavo o lo guardavo in TV a svolgere questo ruolo erano gli Agricantus.
Io non ho mai conosciuto un essere vivente, e in mezzo agli esseri viventi ci metto anche i marsupiali e i mustelidi, che abbia comprato o che mi abbia accennato un pezzo degli Agricantus, eppure li trovavi sempre lì, rigorosamente di pomeriggio.
Perché il tramonto è importante; siamo tecnodipendenti, ma quando si suona dal vivo quelli per cui quasi tutti si sono fatti il viaggio o hanno pagato il biglietto è ancora il momento in cui il sole se ne va giù a fartelo capire.

Il concerto del primo maggio è, per un giorno, la terza città meridionale d'Italia.
Secondo me dopo Napoli e Palermo con i numeri ci dovremmo stare, la distesa di gente su quello che tecnicamente è il sagrato di Roma è composta quasi del tutto da ragazzi dell'ex regno delle Due Sicilie, accompagnati dalla solita bandiera con i quattro mori, dalla solita bandiera della Rizla, dalle solite bottiglie di plastica riempite di vino del Todis.
I romani un po' lo sopportano, tanto qui le piazze piene di gente per motivi politici o religiosi sono parte della vita come lo è la pioggia per un londinese, e un po' se ne fregano, perché preferiscono la gitarella fuori con fave e pecorino, quelle due cose che messe insieme non ti si schiodano dall'esofago neanche con l'acido nitrico.
I giovani del sud altro non potrebbero fare: i Blur dal vivo, se sei di Catanzaro, non li vedrai mai.

Il concerto del primo maggio non è il concerto dei sindacati.
A dire il vero non lo è mai stato, io ridacchio sempre quando lo sento dire perché mi immagino Cofferati o Bonanni che stanno lì a decidere se far suonare prima i Litfiba o gli Iron Maiden, magari facendosi negare al telefono se chiama Confindustria.
Ci sono le sigle sindacali sul palco, è vero, ma ci sono perché i sindacati si fanno pubblicità nel giorno che per loro è il più importante.
Su quel palco ci potrebbe essere scritto pure di bere Coca Cola (e sono quasi sicuro che da qualche parte comunque c'è), i suonatori non ne risentirebbero più di tanto.
Ci sono un sacco di giovani e i sindacati pensano che sia un buona idea presentarsi a gente che un giorno potrebbe interessarsi a loro. E hanno ragione.

Anzi, per dirla meglio, non vi limitate ai messaggi sindacalmente positivi, andate oltre, dimenticatevi proprio le canzoni con i contenuti sociali, lasciatele perdere, la musica leggera è diventata il genere più diffuso della storia perché dei tizi spesso spesso strafatti e strapagati nonché vestiti e pettinati in modo bislacco cantano frescacce.
Parlare di diritti delle minoranze o della pace nel mondo o del problema della doppia fila su via di Tor de' Schiavi non ha mai reso una canzone più bella; Red hill mining town degli U2 è bella perché è degli U2, non perché parla dello sciopero dei minatori inglesi, cosa che tra l'altro ho scoperto due anni fa.
Queste scemenze le dicevo pure io, mi sbagliavo, sono pentito, sono stato folgorato sulla via delle major, sono più maturo, mi dispiace per quelli che mi hanno conosciuto quando ero scemo.
Imagine di Lennon è un rottura di coglioni.
E basta, porca miseria.

(post vagamente ispirato e decisamente richiesto da Rosy qui)

05 aprile 2012

Purtroppo per voi

(Considerazioni sparse su legge elettorale e altre cose connesse che vorrei venissero smentite dai vari esperti che si leggono qua e là per blog. In alternativa possono spiegarmi perché l'Italia dovrebbe essere un caso particolare)

In Italia il territorio più piccolo che ha diritto di rappresentanza è la Val d'Aosta, la quale ha circa 1/480 della popolazione italiana. Se rappresentatività significa qualcosa il numero dei deputati dovrebbe stare quindi tra 450 e 500.

Diverso è il discorso del Senato dove i territori piccoli dovrebbero essere sovrarappresentati, come lo sono in tutti i paesi regionalisti o federalisti. E l'Italia, Costituzione in mano, è un paese regionalista.

Il premio di maggioranza non esiste in nessun paese del mondo.

L'indicazione della coalizione non esiste in nessun paese del mondo.

La soglia di sbarramento, per i sistemi proporzionali, c'è quasi sempre. Per esempio la Turchia ce l'ha al 10% (troppo).

Il primo ministro (o sinonimi) è praticamente sempre il segretario del partito più grande della coalizione vincente. Va detto che la DC, primo partito in Italia finché è esistita, non amava questa sovrapposizione.

Il primo ministro non è inamovibile, neanche nei sistemi più maggioritari. Margaret Thatcher e Tony Blair sono stati sostituiti dai loro partiti, non dagli elettori. Helmut Schmidt è stato sostituito dal parlamento, o meglio da un partito alleato che è passato dall'altra parte. È però vero, per prassi e non per regola, che quando il governo cade in genere si vota.

Le garanzie per la presenza di donne (dette "quote rosa") le hanno in molti, pur essendoci notevoli assenze.

Il finanziamento pubblico ai partiti lo hanno praticamente tutti, tranne quelli che trovate qui.

24 marzo 2012

Una cosetta

Quando la ministra Fornero dice sorridendo che la modifica dell'articolo 18 è solo un paragrafo di una riforma molto più ampia non sta minimizzando, ma sta dicendo un'ovvietà.
L'articolo 18 non sta lì per dire cosa fanno un imprenditore e un lavoratore nella quotidianità dei loro rapporti, sta lì per mettere un limite alla libertà dell'imprenditore, per dire che quel comportamento, il licenziamento individuale ingiustificato, non è ammesso in nessun caso.
Allo stesso modo, dire a scopo di sostegno alla sua modifica che in fin dei conti riguarda solo una minima percentuale delle cause di lavoro, dovrebbe far ribattere che ci mancherebbe pure che le cause di lavoro fossero tutte o quasi dei licenziamenti ingiustificati*.

Ci sono leggi, ce ne sono tantissime, che trovano applicazione solo in rarissimi casi.
Questo non le rende meno valide o, peggio, inutili, ma le rende proprio quello per cui sono state messe lì, barriere al di là della quale c'è quello che non vogliamo.
Per tutti i rapporti di forza disuguale, come genitore figlio o medico paziente, ci sono leggi così, e tutti vogliamo, anche attraverso altre norme a supporto, che non siano mai applicate.
Ciò non toglie che ci devono stare, banalmente perché in uno stato di diritto quello che non è vietato sostanzialmente è permesso.

Restando sul tema, durante il suo intervento immediatamente successivo alla chiusura delle trattative da parte del Governo, la segretaria Camusso ha detto una cosa passata un po' inosservata, cioè che in Italia non è mai esistita una causa per licenziamento discriminatorio.
Proprio così, nessuno è mai finito davanti a un giudice perché il suo licenziamento dipendeva dall'essere frocio, negro, ebreo o fan dei Negramaro.
C'è qualcuno che si sognerebbe di dire che causa inutilizzo una norma a difesa del lavoratore non dovrebbe starci?

In conclusione, quando De Bortoli scrive "Davvero è questo il clima che si respira nelle fabbriche, al di là di qualche isolato episodio?" dovrebbe ricordare che l'articolo 18 serve per l'isolato episodio, non per il clima, e che i licenziamenti collettivi o i prepensionamenti non c'entrano niente con l'articolo 18, sono altre situazioni, hanno altre leggi e non per caso, ma perché sono cose diverse.
E se possibile ci risparmi questa lagna della modernità. Dica che la sua è una posizione liberale, conservatrice, usi l'aggettivo che vuole.
Di diritti che vogliamo non far invecchiare ce ne sono a centinaia, di alcuni abbiamo stabilito la necessità da secoli, e io credo che il diritto del lavoratore a non essere licenziato ingiustificatamente debba restare.
E credo anche che le posizioni come quella di De Bortoli siano rispettabili, talmente tanto che non vedo l'ora di discuterne nel 2013, con un'urna elettorale davanti.

* avevo scritto illegittimi, che effettivamente causava una buffa tautologia.

23 febbraio 2012

I'm coming to find you if it takes me all night

Tre anni fa, a un concerto all'Init, la cantante dei Love is all, prima di iniziare, si rivolse al pubblico chiedendo se il giorno dopo qualcuno dovesse andare a lavorare.
A chiunque non sia di Roma, figuriamoci a una svedese, l'orario di inizio dei concerti sembra una cosa più adatta alle rapine che alla musica, o forse si fa l'idea che i romani siano talmente bourgeois da potersene fregare e presentarsi al lavoro verso mezzogiorno.

Non è così. Se vogliamo essere buoni diciamo che l'abitudine nottambula ha a che fare con l'orario capitolino della cena e con la difficoltà di movimento in città.
Se vogliamo essere cattivi invece ci chiediamo a che scopo mettere su un biglietto che apri alle nove e che il concerto inizia alle dieci.

Mi presento al Lanificio alle nove e tre quarti e trovo la sala d'aspetto, che in realtà è un parcheggio per gli scooter, già bella piena di gente che magari è lì dalle nove e che non è entrata.
Aspetterà un bel po' ancora, diciamo le dieci e mezza, prima di entrare in una stanzetta più piccola di casa mia, con una simpatica colonna in mezzo, con un palco alto dieci centimetri, con la conseguenza che chi sta dietro vede sì e no la capoccia del cantante.
Poco male, tanto sono alto, ho perfino il tempo di pagare 5 Euro una birra piccola.

La vendita dei biglietti ha seguito il criterio "copri tutta la superficie calpestabile", siamo belli compatti e abbiamo come unica fonte d'aria le porte d'emergenza che danno sulle rive dell'affluente del Tevere.
Immagino che d'estate siano costretti ad aprirle, con conseguente festa delle zanzare del 41° stormo "Draghi dell'Aniene" a pasteggiare sulle spalle delle avventrici.

Ora sembra che io ce l'abbia troppo con il signor Lanificio (si chiama Pino, Pino Lanificio) ma non è vero. Cioè, non solo con lui.
Ce l'ho anche con quei buiaccari della foto digitale, quelli che si mettono la foto di Facebook con l'occhio nel mirino della macchina.
Ecco, spiegatemi le foto con il flash. Sul serio, io vorrei capire come con le digitali di oggi, degli arnesi con cui anche un paraplegico immerso nella pece saprebbe scattare cose illuminate decentemente, a voi non riesca di non usare, nel 2012, cristo, il flash.

E vorrei chiedere anche ai signori Ausgang, quelli che prima erano i signori CircolodegliArtisti, ma ci meritiamo posti così? Posti dove devo arrivare presto per evitare la colonna in mezzo?
Una cosa che non sia un rudere industriale (rimasto tale) in mezzo a una strada dove non c'è manco un bar o un kebabbaro a Roma proprio non si trova?
Mi verrebbe da dire che manco al centro sociale ma sarei ingiusto, tutti i centri sociali che ho visto erano meglio.
Ho pure paura di fare qualche affermazione tipo che non ci metterò mai più piede perché tanto lo so che due minuti dopo esce l'annuncio che ci suoneranno i Radiohead.

Almeno ditemelo, guarda è così non c'è niente da fare, vivi in una città del terzo mondo che manco si può permettere di organizzare le Olimpiadi, non puoi pretendere che un'artista 4AD che ha suonato da Letterman abbia chissà quale trattamento.
Oppure ditemi che non ci capisco un cazzo e che alla fine St. Vincent ha pure fatto stage diving e si è divertita quindi a lei andava benissimo.
Meglio ancora se me lo fate dire da lei in persona.

28 gennaio 2012

Coraggio

Una sera del 1993 l'artista più bravo a fare cover che sia mai esistito era impegnato in un concerto a New York.
All'inizio di una canzone con il titolo un po' strano, Jesus doesn't want me for a sunbeam, dove ancora più stranamente il bassista aveva preso una fisarmonica e il batterista un basso, fa il nome della band di cui stava per suonare una bellissima versione della canzone: i Vaselines.

Bello, vero? Però questo è successo quando abbiamo visto il disco dell'Unplugged.
Quella sera che lo vedemmo su MTV, e gli Unplugged di MTV si guardavano se no eri un poveraccio che magari andava ancora in giro con il Moncler, i più scafati di roba indie tra di noi avevano a malapena riconosciuto i Meat Puppets, ma di questi Vaselines non sapeva niente nessuno, e manco c'era un blog che avesse scritto un post su di loro, che so, nel 1987.

I Vaselines erano un gruppocoppia, quelli che portano con sé il rischio che la coppia finisca portandosi dietro il gruppo e infatti questo era successo.
Anni dopo sul famoso PC di Disfunzioni Musicali avrei trovato scritto "la band preferita da Kurt Cobain", che più o meno come dire "il presidente del consiglio preferito da Mario Monti". E chi se ne frega? E invece no, non si può dire, perché di un mito sono mitiche anche le presine della cucina, perché Mario Monti non ha (ancora) scritto Lithium.

Dopo che Kurt morì quelli che facevano i soldi con i dischi dissero ai Vaselines "dai fatene un altro" ma loro dissero no, non si volevano vedere, si detestavano, facevano già un sacco di soldi con i diritti e non erano dovuti finire come qualcun altro a rimettere a posto ogni sera lo Småland dell'Ikea fracassato dai bambini.
E allora quelli che facevano i soldi pubblicavano la raccolta dei Vaselines, poi l'edizione deluxe, poi la über deluxe, poi gli inediti, poi i remix, poi i remix di Smeerch e poi gli chiedevano "dai fatene un altro" e loro no.

Finché dopo vent'anni decidono che ormai non si ricorda più nessuno, ormai sono due simpatici vecchietti che possono farsi un giro per il mondo suonando senza portarsi dietro l'etichetta di quelli che se non fosse stato per quello lì sarebbero stati degli sconosciuti da un album e fine.
E allora io decido che dopo essermi portato in giro per Roma due divani posso pure andarmeli a vedere tanto per chiudere un altro cerchio della gioventù.
Suonano all'Angelo Mai, un posto che una volta era a Monti (il rione, non quello che non ha ancora scritto Lithium) e che dall'enorme vecchio edificio dov'era ha preso il nome. Dopo che li hanno cacciati da lì sono andati a Caracalla, ma hanno tenuto il brand.

Preceduti dai Demoni, un gruppo con groupies abbastanza simile, forse anche troppo, ai Diaframma, Eugene e Frances salgono sul palco e tanto per ricordarmi che è passato qualche annetto uno non ha più un bel po' dei suoi capelli e l'altra ha una tinta bionda discutibile, perfino di più delle sue calze marroni.

Quelli che se ne intendono direbbero che i Vaselines erano un gruppo C86 e non sarebbe certo sbagliato, anche se avevano comunque il vizio di mettere qualcosa di inusuale, come una fisarmonica o una trombetta da bici, nei loro pezzi.
Ma quelli di oggi non lo sono quasi più, sembrano una band americana, come se le loro canzoni fossero state prese e prodotte dai Calexico.

Su una cosa si sono sbagliati: il pubblico applaude e apprezza ma salta e urla quando partono i pezzi che furono rieseguiti dai Nirvana.
Su una cosa hanno ragione: si stanno evidentemente divertendo, hanno quasi sessant'anni e c'è gente che ha un terzo della loro età che ha pagato per vederli e che ne sa perfino qualcuna a memoria.

Chiudono con Dum-Dum e finalmente c'è un po' di giustizia, punk e gente che si esalta per qualcosa che è soltanto loro.
Nelle ultime canzoni un impensabile accenno di pogo che, unito al fatto che si fumasse in sala, rimanda a casa i partecipanti al giro turistico negli anni '90.