Scrivo questo post senza sapere se il governo avrà deciso di accorpare la data del referendum con quella delle europee-amministrative, tanto mi tengo sul generale.
Ci sono pure un bel po' di link, quindi può essere lungo.
Ai bei tempi su Usenet si avvisava prima, quando c'era molto da leggere.
Il referendum in Italia ha delle regole, scritte nella Costituzione e piuttosto chiare.
Può essere chiesto da mezzo milione di elettori o da cinque consigli regionali, ed è soltanto abrogativo, cioè la legge deve già esistere, dev'essere già stata scritta e votata dal Parlamento.
E serve il quorum, la parolaccia latina che i costituenti si erano ben guardati dall'inserire nel testo dell'articolo 75, che significa semplicemente la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Perché il referendum è regolato così?
Perché, nella visione dei costituenti, il referendum sarebbe servito solo nel caso ci fosse stato un vistoso contrasto tra il Parlamento, unico soggetto legiferante, e chi queste leggi avrebbe dovuto rispettare.
Il referendum non può essere chiesto da parlamentari, perché ovviamente l'opposizione ne chiederebbe uno al giorno.
È una formulazione che può essere discussa, come tutte le altre, nessuno dice che questa sia la forma migliore
Io però continuo a fidarmi di più di De Gasperi o Nenni piuttosto che di Di Pietro.
Il requisito del 50% viene di conseguenza, perché la sovranità del Parlamento non può essere messa in discussione da quattro gatti.
Un comune che decidesse di cambiare la sede del mercato darebbe retta a quindici persone? No. A quindicimila? Forse sì.
La legge votata della maggioranza parlamentare eletta dei cittadini può essere messa in discussione da un'altra maggioranza, se c'è.
Oggi la discussione è sul referendum che modifica la legge elettorale.
Per farla breve, abolisce le coalizioni, cioè chi vince non è l'aggregato di partiti, PDL + Lega, o PD + IdV, ma il partito da solo.
Alle scorse elezioni avrebbe avuto quindi la maggioranza assoluta il PDL (senza Lega), a quelle del 2006 l'Ulivo (per chi se lo ricorda), senza rifondaroli (per chi se li ricorda).
Implicitamente, la vittoria del Sì costringerebbe i partiti più piccoli a mettersi in lista con i più grossi, facendo sparire il proprio simbolo.
A me pare una legge di gran lunga peggiore dell'attuale, che già fa schifo, ma molti dei sostenitori del Sì ritengono che modificata in questo modo farebbe talmente vomitare da obbligare il Parlamento a farne una migliore.
Speranzosi.
Chi vuole la vittoria del Sì chiede l'accorpamento delle date, perché le europee e le varie amministrative passano sempre il 50% di votanti.
Chi vuole la vittoria del No chiede la data per il solo referendum, forse il 14, perché pensa che il 50% dei votanti non sarà raggiunto.
In pratica, la fazione Sì spera nel traino delle altre elezioni, perché sa che di questo referendum non frega un cazzo a nessuno.
Il motivo per cui i referendum si sono sempre celebrati distintamente dalle elezioni è proprio questo: le altre elezioni falsano il quorum, che nei referendum è requisito tanto quanto la crocetta.
Quella dell'astensione a scopo di sabotaggio è quindi una posizione valida come le altre.
Se fosse un requisito quello di una percentuale del 50% di votanti con gli occhiali, i fautori del Sì comprerebbero legittimamente i Rayban fasulli dal senegalese.
Ci sarebbe l'ipotesi citata da qualcuno, quella del rifiuto della scheda referendaria.
Io faccio il presidente da un decina d'anni, e di gente che rifiuta la scheda non ne ho mai vista, quindi immagino la scarsa presenza di questi personaggi in una sezione elettorale, o forse in Italia.
È tanto strano che un cittadino trovi noioso andare a votare per una cosa di cui non gli frega niente?
O prolungare la sua presenza in sezione chiedendo quale scheda vuole e quale no?
I promotori dei referendum considerano sempre la loro posizione decisiva per le sorti dello Stato, salvo poi incazzarsi con i soggetti più improbabili quando vengono loro voltate le spalle, mai con se stessi.
Come diceva un leghista qualche anno fa, provate a fare un referendum sulle pensioni e poi vediamo se non si raggiunge il quorum.
A questo punto arriva il terremoto in Abruzzo, e i nostri scaltri promotori trovano una nuova scusa, per me, come già detto, ottima per vergognarsi.
Ci sono tutte le case rotte e buttiamo soldi per un referendum?
No, facciamo insieme così noi otteniamo il risultato e nel frattempo ci sono tanti soldini per le tende.
Al di là del fatto che in questo modo dimostrate che degli sfollati ve ne frega meno di zero, dato che la posizione la sostenevate anche prima, ma quella del costo è veramente l'obiezione più stronza che si possa fare a un esercizio di democrazia (come dice meglio lui).
Io pago delle tasse perché si possano gestire queste emergenze, e non sono disposto a sacrificare la forma democratica, perché drogare il numero di votanti è questo.
I soldi vengono sottratti ai terremotati? No.
Non esiste una voce di bilancio con scritto "disastri naturali e referendum", che se prendo a una devo togliere all'altra.
I soldi per la celebrazione delle elezioni sono sempre a bilancio, e se ne servissero un'enormità per ricostruire l'Aquila li prenderemo dalla Linea C della metropolitana, o dalla terza corsia della Salerno - Reggio Calabria, e non ci sarà niente di cui lamentarsi.
Quello che a me preoccupa è che nella concezione di qualcuno la prassi costituzionale sia soprassedibile, che quelli che sono i diritti di tutti vengano dopo la possibilità di pagare la cambiale.
Non abbiamo sospeso la democrazia per l'alluvione del Polesine o per il terremoto in Irpinia.
Gli inglesi hanno fatto le elezioni nel 1917 e nel 1944, durante due guerre, e nessuno si è sognato di non farle o peggio, di alterarne il senso.
Era necessario il referendum monarchia - repubblica quando il paese era in macerie?
Sì, lo era.
C'è sempre, in questo paese, una parte che pensa che certe cose siano sì utili, ma non poi così decisive, dimenticando quali sono i motivi per cui questi valori sono fondamentali.
Sono fondamentali perché senza non sarebbe stato possibile per i due maggiori quotidiani nazionali pubblicare foto di un altro terremoto, tenere in home page il Nostradamus del Gran Sasso fin quando il rumore delle risate non era diventato troppo forte (meglio qui), vaticinare sul numero di morti, vantarsi degli indici d'ascolto o parlare a vanvera di "strage annunciata" o "ritardo nei soccorsi", due delle tre frasi più abusate del giornalismo italiano (la terza è "manca solo la firma del giocatore").
Sono proprio questi diritti che abbiamo da sessant'anni che permettono cose come la Grande Tristezza Nazionale imposta, le facce finto contrite dei presentatori, la solidarietà urlata (meglio qui), la caccia a streghe inesistenti (meglio qui).
Veramente sareste disposti a sacrificare tutto questo?
10 aprile 2009
Barete (AQ)
Scritto da Numero 6 alle 16:05
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Sul fatto che quella del terremoto sia un'obiezione stronza, stronzissima, sono d'accordissimo con te. Ugualmente lo sono sul fatto che la legge elettorale uscita dal sì al referendum sarebbe una chiavica, e per giunta farebbe il gioco di Berlusconi. Mi fa solo un po' tristezza vederlo morire, l'istituto del referendum. L'unico motivo per cui preferirei che si facesse in contemporanea con le elezioni è che in quel caso bisognerebbe fare una campagna elettorale referendaria vera, spiegando bene le cose, e non ricorrendo al desiderio della gente di andare al mare. Perché questo è: se vuoi dare una legittimità politica al non voto, allora non deve spaventarti l'abbinamento delle elezioni, visto che appunto si può rifiutare la scheda; e se non la rifiutano perché non sono abituati, cazzi loro, anche questa è la democrazia. Invece se non si fa l'election day finirò per andare al mare anch'io, e però mi sentirò un po' sporco.
RispondiEliminaAi tempi del referendum sulla legge Mammì, io presi le schede solo per alcuni referendum (appunto quelli sulla legge) e ne rifiutai molti altri (tipo sulla privatizzazione della rai: se erano tutti d'accordo a votare sì, potevano fare la legge e non rompere le palle. Poi vinsero i sì e la rai è più partitocratica di quanto già non fosse).
RispondiEliminaSul referendum, c'è un punto che manca alla tua analisi: che una parte della attuale maggioranza ovvero la Lega, non vuole che vincano i sì, e quindi ha fatto pressioni perchè la data del referendum sia diversa da quella delle elezioni, contando sull'effetto non-traino.
Poichè la data del referendum viene decisa dal governo, il risultato è che una parte politica ne sta già condizionando il risultato, sfruttando il suo ruolo nel governo, che è invece il governo di tutti.
Di fronte a questo atteggiamento cinico, è del tutto legittimo che i promotori del referendum siano cinici allo stesso modo, visto che combattono ad armi spuntate.
Aldilà del merito nel quesito referendario, è insopportabile questo uso privato di governo pubblico.