(Qualche giorno fa Zurigo Turismo, un ente benefico che offre vino del Vallese, emmenthal e concerti ai blogger amici di ciociari spostati momentaneamente a Milano, mi ha appunto beneficiato del concerto di Rossana Casale a Roma. Tra le altre cose, Zurigo Turismo si occupa anche di promuovere il turismo nella città di Zurigo)
Celio
Il Celio è uno dei sette colli di Roma, in genere quello che ci si scorda quando si recita l'elenco, ed è anche l'attuale diciannovesimo rione della città di Roma.
Tacito dice che prende il nome da tale Celio Vibenna, condottiero etrusco, ma anche lui non è che sia tanto sicuro, però essendo abbastanza suggestivo lo prendiamo per buono.
Se siete di quel genere di turisti che interpretano i viaggi a Roma come tour di chiese, e cioè praticamente tutti, qui ce ne sono di imperdibili.
A Roma però il colle è famoso per un motivo un po' più sostanziale: è la sede dell'ospedale militare.
In epoca di naja, essere mannati ar Celio significava quasi sempre essere riformati, cioè risparmiarsi l'anno a difesa dei patri confini.
Villa Celimontana
Malgrado il nome della villa sia recente, ed è preso da Caelimontium, secondo rione della suddivisione di Augusto, qui è sempre stata tutta campagna.
All'epoca dei romani c'erano vari horti, come i ricconi dell'epoca chiamavano i loro villoni di periferia, e dopo qualche secolo di nulla il terreno se lo presero i Mattei, una famiglia con discrete possibilità; Casetta Mattei, sulla Portuense, era roba loro, così per darvi un'idea dei loro modesti possedimenti.
Oggi l'ingresso della villa è di fianco alla chiesa della Navicella, proprio sulla cima del colle.
Da lì il terreno scende verso la valle di via di San Gregorio, che ovviamente non si chiama così ma non sapevo che nome darle.
Nella villa vera e propria c'è la sede della Società Geografica Italiana, e nei giardini un obelisco egiziano che i romani hanno allegramente ruspato via da Heliopolis.
Essendo i residenti del quartiere assai pochi la villa è poco frequentata e silenziosa.
Non che non ci siano anche qui le vecchie signore che discutono con il loro cane o gli impiegati panzoni che sperano di dimagrire, ma sono in numero nettamente inferiore, e quindi sopportabile, rispetto a Villa Ada.
Jazz & Image
Questo è il nome originario del festival jazz che si svolge a Villa Celimontana dal 1994, e dove io non ero mai andato.
Adesso mi immagino che i miei lettori resteranno delusi dal solito blogger che scrive di letture impegnate, ristoranti carissimi, musica introvabile e poi gli fanno un festival sotto casa da sedici anni e lui non ci mette piede, ma non è colpa mia cari lettori, è vostra, che ne sapete poco dei romani.
I romani conoscono la loro città perché capita, non perché lo vogliano.
Arriva un parente da fuori, un amico che non si vede da un po' e allora ci si sforza e si va, ma nel resto del tempo mica c'è fretta, e poi le cose stanno sempre lì, mica ce le spostano.
Se si chiama città eterna ci sarà pure un motivo, no?
Per esempio Castel Sant'Angelo l'ho visto per la prima volta tre anni fa, perché mi è venuto a trovare un amico toscano.
Rossana Casale
Per quelli della mia generazione Rossana Casale è A che servono gli dei, e cioè la tradizionale canzone non sanremese a Sanremo, quella di cui si innamorano tutti come del Ghana ai mondiali.
Che poi a ripensarci adesso mi sa che non ero innamorato solo della canzone.
Emmenthal
Me ne sono mangiato uno scatafascio, era buonissimo.
Vi posso anche dire che i biglietti vengono richiesti solo all'inizio del concerto, quindi se passate di lì prima potete aggiungere con facilità due o tre zeri al colesterolo.
Poi se fate i bravi vi dico pure dove si rimedia.
10 luglio 2010
"Ma io so' svizzero"
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07 settembre 2009
04 maggio 2009
A piazza degli Zingari, per giunta
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29 dicembre 2008
L'attualità della miniera
L'avreta già vista, ma vi prego di ingrandire per ammirare il commento a fumetti di una sapiente mano testaccina.
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23 dicembre 2008
Archeologo all'amatriciana a San Saba (2)
E adesso un po' di epigrafia.
Questa lapide targa contrassegna la sede di una formazione politica del recente passato.
In alto a sinistra è stato asportato un fregio, che con ragionevole certezza, possiamo immaginare fatto di spighe incrociate che circondano falce e martello, simile ad altri ritrovamenti.
La targa testimonia anche un periodo in cui le sedi dei partiti politici erano addirittura per rione, com'è appunto San Saba.
Questo fenomeno di difficile interpretazione era noto come "organizzazione sul territorio", ed è ancora una sfida per gli studiosi comprendere il passaggio all'attuale "partito liquido", quello che si scioglie.
Può sembrare che stessi parlando del PD, ma non è detto.
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21 dicembre 2008
Archeologo all'amatriciana a San Saba (1)
Come fare un rilievo stratigrafico ignorando completamente cosa sia? Facile. A piazza Remuria è possibile vedere un pezzetto di storia della pavimentazione capitolina. Sotto i sampietrini, i blocchetti di basalto che non sono degli antichi romani, ma hanno cominciato a metterli nel '500. Poi l'asfalto di quando le righe di delimitazione della carreggiata erano gialle, se qualcuno ricorda. E per finire asfalto più moderno. Insomma, più recente.
No, non parlo del PD.
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06 dicembre 2008
Così per mettere le cose in chiaro
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02 novembre 2008
Patate accondite
La Sora Margherita, prima che un ristorante, è una specie di leggenda.
Un ingresso del tutto anonimo in una delle piazze per cui vale la pena vivere a Roma, piazza delle Cinque Scole (sic), dalle cinque scuole ebraiche che vi si trovavano.
Questa piazza è uno dei pochi resti veri dell'antico ghetto, ed era in origine attraversata dal muro che impediva agli ebrei romani (giudî, in dialetto) di andare in giro dopo il tramonto.
È aperto a pranzo, e per cena solo a fine settimana.
Se volete andare una sera tenete a mente che ci sono due turni, alle 20 e alle 21.30.
C'è posto per sì e no venti coperti, quindi prenotare è obbligatorio, e se potete, evitate anche di tentare di portare la macchina nei paraggi.
Al Ghetto non si parcheggia, fatevene una ragione, meglio una passeggiatina che vi risparmi l'ansia.
All'inizio vi fanno fare la tesserina, se già non l'avete, e poi portano uno dei marchi di fabbrica del posto: il menu scritto a pennarello sulla carta da pane.
I piatti sono di cucina giudaico-romanesca, dicono quelli che se ne intendono, cosa che a me pare una mezza tautologia, dato che i piatti romani originano praticamente tutti dalla tradizione ebraica.
I primi sono disposti "a matrice", cioè avete i tipi di pasta da incrociare con i sughi tradizionali; sta ovviamente all'intelligenza del cliente non prodursi in accoppiate atroci.
Io ho rischiato un po' con gli agnolotti cacio e pepe, contando sul fatto che con cacio e pepe viene bene anche anche il plutonio.
I puristi sceglieranno giustamente una pasta lunga, ma anche a me è andata piuttosto bene.
Per quanto riguarda il secondo mi sono lanciato su delle salsicce di manzo, queste veramente da residente del ghetto acquisito alla tavola.
Sono fatte alla piastra, con limone e rughetta, e il sapore diverso della carne le rende qualcosa da provare.
Ho assaggiato anche le polpette al sugo, più classiche, credo fatte con lo zafferano.
Però è sui contorni che voglio spendere qualche parola in più.
Ho preso il regolare carciofo alla giudia, che viene offerto anche come unico antipasto.
Il carciofo alla giudia è un carciofo rovesciato e fritto, e così sembra facile, cos'ha di speciale?
Ha di speciale che le immangiabili foglie, che poi sono i petali, diventano tipo le patatine delle feste delle medie, e quindi del carciofo non si butta via niente.
Poi seguirebbero i dolci, che non ho preso, e che sono in buona parte basati sulla ricotta, come è tipico nel centro sud.
In particolare ricotta più visciole è abbastanza godurioso.
Qualche considerazione al volo.
Il servizio è velocissimo, e il rapporto tra il personale e i tavoli è piuttoto alto, se no nei tempi non ci starebbero.
Non esiste carta dei vini, com'era facile immaginare, solo una simpatica brocca di rosso sicuramente laziale.
Che poi a me sta benissimo, credo che l'unico ambito in cui mi senta regionalista sia il vino rosso.
Ritornando sui contorni, ce ne sono due da raccontare.
Il primo sono i broccoli ripassati, piatto del tutto elementare ma assolutamente decisivo nella crescita di ogni romano.
Nelle analisi del sangue di qualunque abitante della capitale c'è almeno un venti per cento di broccolo.
Se non avessimo la lupa, potremmo tranquillamente usare questa crucifera come stemma, tanto che credo sia l'unico prodotto agricolo coltivato in città, e quando a Roma si vuol dire che una cosa è perfetta, si dice a ciccio de broccolo.
La Sora Margherita è inoltre il primo posto dove trovo gli aranci conditi (perdonatemi il plurale dialettale).
Arance tagliate e condite con olio e sale, e se proprio siete à la page ci potete mettere due olive nere.
Non ho mai capito perché allontanandosi dal GRA diventi un piatto sconosciuto, quando addirittura non susciti sguardi interrogativi come se si parlasse di cibarsi di sorci vivi.
Al contrario, sono spettacolari, e il sugo che resta è qualcosa che fa felice ogni bambino, anche se va per i quaranta come il sottoscritto.
Questo ristorante è anche un modo per mangiare come si faceva una volta, e come si fa ancora a casa, cioè senza essere sommersi inizialmente da tonnellate di antipasti, cosa che ormai pare di regola mangiando fuori.
Lo dico prendendomi tutto il rischio di sembrare un insopportabile passatista, ma a me non è mai piaciuto.
Concludendo, ho speso 32 Euro, per primo secondo contorno.
Le porzioni non sono grandi, ma normali.
Se state cercando un posto per sbomballarvi le transaminasi a due soldi avete sbagliato indirizzo, ve ne posso fornire qualcuno migliore.
Se qualcuno si stesse preoccupando, no, non mi voglio trasformare in risto-blogger, né presumo di essere originale scrivendo di un ristorante che bene o male è già stato visitato da altri blogger più preparati di me in materia.
Però questo post me l'ha chiesto, con grande onore blogghico da parte mia, SecondoMe, che è l'unico del ramo che mi filo, e poi viene sempre alle BlogBeer.
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23 ottobre 2008
09 ottobre 2008
Britisc Caunsil
(pausa pranzo, avventore)
"È 'a deregulescion, 'a ggente nun se regola."
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01 settembre 2008
Alfred Hitchcock, 1963
Di recente, come avevo già scritto, ho finito di leggere "il gene Egoista" di Richard Dawkins.
Per quelli che lo ignorassero, come me prima di leggerlo, Dawkins è un biologo evoluzionista, che vuol dire che è un seguace della teoria di Charles Darwin sull'origine delle specie.
La sua visione è però centrata sul gene, cioè un pezzo di DNA, che secondo Dawkins è il vero oggetto della selezione: i geni cercano in ogni modo di tramandarsi, e lo fanno costruendo veicoli, per esempio noi.
I geni buoni (i. e. , che hanno costruito veicoli buoni) ce la fanno, gli altri no.
È un libro affascinante, non tanto per le spiegazioni che dà, perché comunque resta un testo divulgativo, ma per le impensabili ipotesi che lascia aperte.
In più, e in questo c'è tutta la britannicità dell'autore, Dawkins spesso divaga, introduce un concetto e parte raccontando serie di casi, per poi riconnetersi al concetto di partenza.
In queste divagazioni ci sono formiche regicide e api suicide, pulcini di cuculo che nascono per primi e buttano fuori dal nido le altre uova, parassiti che diventano tutt'uno con i parassitati fino all'indistinguibilità.
Qualche giorno fa ero a Piombino, e adesso sarei molto orgoglioso se voi lettori vi steste già chiedendo cosa c'entra Dawkins con Piombino.
Se non ve lo siete chiesto però va bene uguale.
Ero a Piombino che è una città che con la nomea di esser brutta.
Immeritata, perché non è brutta, ma è una città di mare, se non vi conquista difficilmente potrà conquistarvi, che so, Genova.
Perché dietro ai porti non ci sono mai stati i bei palazzi dei nobili, ma le osterie e i bordelli e i nobili, che schifavano la puzza del vino e delle puttane (quelle da pochi soldi, s'intende), se ne stavano in collina.
Come, appunto, a Genova.
Allora, ero a Piombino e vedo un gabbiano, e parliamone, perché il gabbiano è un uccello piuttosto stronzo.
Ora gli amici degli animali, nonché Dawkins, obietteranno che il gabbiano non è cattivo, è così perché è la sua natura, sono i suoi geni che l'hanno progettato in questo modo.
Sì d'accordo, ma per caso il cucciolotto che beccate su Pixdaus è uguale alla iena?
Il pesciolino dell'acquario è come la tracina?
La farfallina come la zanzara?
Il gabbiano è vorace e aggressivo, mangia qualunque cosa gli capiti a tiro, nel senso che non disdegna neanche i suoi simili, e forma squadracce punitive.
Ma stranamente è un uccello che ispira romanticismo e poesia, credo anche grazie a "Il gabbiano Jonathan Livingston", romanzo breve di Richard Bach, una delle letture obbligatorie degli anni '70, insieme a "Avere o essere?" di Fromm, "Sulla Strada" di Kerouac e altre rotture di palle che potete tranquillamente lasciare alla Feltrinelli e prendervi invece un libro di Hornby.
Anzi, già che ci siete potete mandare a quel paese quasi tutto degli anni '70, che sono trent'anni che ci rompono le scatole.
Vabbè, basta con la divagazione, ero a Piombino, dalle parti del castello, e c'era un pesciarolo, davanti al quale si erano piazzati due gabbiani, uno più scuro, credo un giovane.
Ora, a me non è mai capitato che un gabbiano si facesse avvicinare, mentre questi stavano davanti all'ingresso, spavaldi, incuranti di me e degli altri passanti.
L'adulto dei due, utile per rendermi conto che visti da vicino sono grossi come tacchini, stava protestando, o meglio, pretendeva qualcosa.
Pretendeva con un versaccio, un orrore stridulo che la natura può aver concepito solo allo scopo di fare terra bruciata di qualunque apparato uditivo nei paraggi.
Dopo una breve esitazione, il pesciarolo è entrato e riuscito lanciando qualcosa al volatile che, soddisfatto, ha ridato sollievo alle nostre orecchie.
Immaginando che la scena servisse pure da training per il giovane, che invece stava zitto, ho pensato che la zoologia avesse bisogno di una nuova specie: il gabbiano mafioso di Piombino.
Se non gli paghi il pizzo ti sfascia i timpani.
Modestamente penso di chiamarlo Larus Portmeirionis portmeirionensis, ammesso di aver azzeccato l'accusativo.
Che per quanto ne so è il verbo usato dall'accusa, mentre la difesa usa il difensivo.
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22 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (15)
Vi aspettavate San Pietro, vero? E invece no, perché la "parrocchia" di Roma è questa, San Giovanni in Laterano, anzi, Arcibasilica del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano.
Un nome poderoso per quella che è la prima basilica cattolica della storia, sede del papato per circa mille anni, prima essere trasferito a San Pietro.
Ma il papa qui è comunque il vescovo di Roma, e una delle prime cose che fa è prenderne possesso subito dopo l'elezione, così come qui viene annunciata ufficialmente la morte del pontefice.
Insieme a Santa Maria Maggiore e a San Paolo fuori le mura è extraterritoriale, cioè dentro non siete in Italia, ma nel territorio della Santa Sede.
Costruita intorno al 310, distrutta, ricostruita e modificata innumerevoli volte, la basilica che si vede oggi è il risultato della sistemazione di Borromini e Galilei.
Molti nomi illustri tra quelli che ci hanno lavorato, anche al battistero e al chiostro che fanno parte del suo complesso, ma S. Giovanni è più popolare, non ha il roster di Santa Maria Maggiore o San Pietro.
La piazza di fronte si chiama piazza di Porta San Giovanni, benché ci si confonda spesso.
La vera piazza San Giovanni è sulla destra rispetto alla foto, davanti al palazzo del Vicariato, quello dove si andava a divorziare prima della legge Fortuna.
Piazza che si permette di usare come spartitraffico l'obelisco più alto di Roma, un coso che ha tipo 3500 anni, costruito in Egitto quando sulle rive del Tevere c'erano solo le pecore.
Di recente qualcuno ha trovato da ridire sul passaggio del corteo del Gay Pride davanti alla basilica, obiettando che in genere viene usata per "altre" cose.
In effetti è vero, viene usata per il concerto del primo maggio, e per i romani come mia madre è il luogo dei comizi di Togliatti, mentre di "altri" usi si è persa la memoria da secoli.
L'autore dell'affermazione era l'onorevole Giovanardi, il famoso attore comico, quindi fate voi.
Il giro finisce qui.
Ci sono altri luoghi di fede a Roma, e altri ne verranno con l'aumentare del numero e della diversità degli immigrati.
Qualche volta valeva la pena fare una foto, qualche volta c'era soltanto il portone di un condominio, una volta mi hanno chiesto di non fotografare.
Non si può concludere senza spiegare l'origine del giro delle sette chiese.
A partire dal primo giubileo nel 1300, i pellegrini che venivano a Roma facevano un tour che comprendeva le basiliche papali, San Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni e San Paolo
A queste venivano aggiunte San Lorenzo, che dà il nome al quartiere e che è una basilica papale un po' particolare, e due basiliche elite, Santa Croce in Gerusalemme, con le reliquie della croce portate da Sant'Elena, la madre dell'imperatore Costantino, e San Sebastiano.
San Filippo Neri, il più noto dei patroni di Roma, aveva rivitalizzato questo giro togliendogli una certa solennità, e trasformandolo invece in un'allegra scampagnata.
Nel dialetto romano il termine è diventato sinonimo del dover andare da un capo all'altro della città.
Per dirla con un esempio, mettiamo che uno si trovi a dover portare il bambino a scuola e la macchina a fare il tagliando, e poi a dover passare in banca e all'ufficio postale.
Incontrando un suo amico, il dialogo potrebbe avvenire così:
"ao, ma 'n do' vai de corsa?"
"lascia perde, sto a fa' er giro de 'e sette chiese"
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21 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (14)
Gli ebrei sono a Roma da un sacco di tempo, talmente tanto che non si sa neanche bene, ma sicuramente Giulio Cesare li conosceva.
Un bel po' ne arrivò quando Tito, che non era ancora imperatore, represse alla maniera dei Romani la loro rivolta; in pratica emigrarono nella città che aveva appena raso al suolo (letteralmente) il loro paese, ad ammirare l'arco che celebrava la distruzione del loro tempio.
Non è strano che una così lunga presenza abbia influito in modo determinante sulla cultura della città, perfino nei modi di dire (uno per tutti: "regge er moccolo"), ma il contributo più importante degli ebrei a Roma, quello che avrebbe cambiato per sempre la storia della capitale, è indubbiamente il carciofo fritto.
La sinagoga, o Tempio Maggiore, è stata costruita nel 1904 su progetto di Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa.
Occupa un pezzo di quello che fu il ghetto, il quartiere murato dove il simpaticissimo papa Pio IV Carafa decise di rinchiudere gli ebrei perché il loro gironzolare per l'Urbe era "assurdo e sconveniente".
(Sì, è il padrone di Q, quel libro rispunta sempre fuori).
Come tutto quello che ha a che fare con lo stato di Israele, che sia la filiale della El Al o l'ospedale israelitico, la sinagoga è perennemente presidiata dalle forze dell'ordine.
Un po' perché sono pigro, un po' perché quando la aprono durante la notte bianca la fila arriva a Testaccio, alla fine non ci ho mai messo piede.
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18 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (13)
Ormai stabilmente la seconda religione d'Italia, quella islamica ha da qualche anno una super moschea, pur non avendone strettamente necessità, dato che volendo possono pregare dove capita.
Per costruirla ci sono voluti trent'anni, solo dieci meno di San Pietro, tanto per non essere troppo da meno, ed è stata progettata da Paolo Portoghesi.
Il complesso della moschea, che comprende anche il centro culturale islamico di Roma, è immenso, e si trova in una zona molto tranquilla ai piedi della collina dei Parioli.
Si anima soltanto il venerdì e chiaramente alla festa di Id al-Fitr (عيد الفطر), cioè la fine del Ramadan, dove volendo si mangia un po' di tutto in allegria.
Il giorno della sua inaugurazione una certa Irene Pivetti, sorella della più nota attrice, ha ritenuto opportuno pregare per il destino di Roma, la cui immagine, secondo lei, veniva svilita dalla presenza di un luogo di culto islamico.
Per fortuna ce la caviamo abbastanza bene da una trentina di secoli anche senza le messe di riparazione, e anzi, visto che una nota città del nord di recente ha avuto qualche problema con musulmani preganti, mi permetto di osservare che le moschee, ma anche gli aeroporti, se vengono progettati bene poi funzionano.
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17 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (12)
I valdesi erano, in un certo senso, già protestanti quattro secoli prima che il termine fosse inventato.
All'inizio seguaci di un mercante di Lione che aveva dato via tutte le sue ricchezze, sono confluiti nel '500 nella riforma protestante.
Cacciati e perseguitati praticamente sempre, sono riusciti a sopravvivere principalmente in Piemonte, dove oggi vive la metà della comunità italiana.
La chiesa valdese di piazza Cavour non è l'unica di Roma, ma sicuramente quella che conoscono tutti, anche per via delle sue vetrate.
È stata progettata da Bonci e inaugurata nel 1914, e fa parte di un complesso più vasto che comprende anche una biblioteca.
I valdesi sono forse la prima confessione non cattolica ad aver avuto riconoscimento ufficiale, addirittura nel 1848, e partecipano alla ripartizione dell'otto per mille insieme ai metodisti.
Chi è arrivato fino a qua avrà notato che quasi tutti i templi non cattolici di Roma
sono stati costruiti nei primi anni del secolo scorso.
Pur considerando i Savoia tra le peggiori famiglie regnanti d'Europa, sul piano della tolleranza delle minoranze religiose erano probabilmente migliori di altre più titolate dinastie, anche se i valdesi ogni tanto li hanno cacciati via pure loro.
(sì, lo so che la foto fa schifo)
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16 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (11)
Era un poco noto frate agostiniano quello che nel 1517 decise di attaccare 95 foglietti alla porta della chiesa di Ognissanti di Wittemberg, e nel caso foste turisti religiosi la chiesa non è quella in piazza, ma quella del castello dell'Elettore di Sassonia.
A Roma sarebbe stata una delle tante pasquinate, ma siccome i tedeschi prendono le cose più sul serio, da quel giorno il mondo non è stato più lo stesso.
La religione luterana è di stato in Norvegia, Danimarca, Islanda e Finlandia, e fino a pochi anni fa anche in Svezia, oltre a essere la religione più praticata in vari stati del nord Europa, specialmente in Germania.
A Roma saranno probabilmente quattro gatti, ma una tale potenza non può passare senza tracce, e così ecco questa squadrata chiesona in quel di via Sicilia, costruita dopo la prima guerra mondiale dalla comunità protestante tedesca di Roma, che già era presente dall'800.
La chiesa luterana è una delle confessioni riconosciute dallo stato italiano, e partecipa alla ripartizione dell'otto per mille.
La messa è in italiano e tedesco, l'ambasciata tedesca è lì vicino, a via Po.
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15 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (10)
Tempo fa chiedevo a una vecchia amica (perché la conosco da tanto, in realtà è esageratamente giovane) se ancora oggi viene raccontata a scuola la favola che Enrico VIII avrebbe causato lo scisma anglicano perché voleva divorziare dalla prima moglie Caterina.
Pare che nessuno ancora voglia spiegare l'intreccio dinastico che rendeva politicamente utile il divorzio, e anche se così non fosse, basterebbe documentarsi sull'esuberanza virile dei maschi della famiglia Tudor per capire che del sacramento del matrimonio al buon Enrico non gliene sarebbe potuto fregare di meno, in tutti i sensi.
È curioso notare che la confessione protestante che differisce meno da quella cattolica abbia poi causato, nello scontro religioso, un paio di sanguinose guerre civili, un regicidio e addirittura l'unica interruzione della millenaria monarchia britannica.
Politica e religione sono una coppia di vigliacchi, di quelli che non trovano il coraggio di dirsi che è finita, che è ora di lasciarsi e smettere di farsi del male l'un l'altra.
La chiesa di All Saints è la parrocchia anglicana di Roma, costruita a fine '800 e in seguito dotata di campanile in romanissimo travertino.
Se invece foste interessati alla versione yankee degli anglicani, che si chiama chiesa episcopale, dovete andare alla neogotica San Paolo dentro le Mura a via Nazionale, quella dove hanno fatto anche le primarie dei Democrats Abroad.
Noterete che la foto fa ancor più schifo delle altre, ma in questo caso non è colpa mia, è via del Babuino che è troppo stretta.
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11 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (9)
Il termine ortodosso indica quei cristiani che si sono divisi nel 1054 sulla solita complicatissima questione teologica che poi ne mascherava, tanto per cambiare, una politica.
Non è che però con questo termine si possa avere un'idea chiarissima, perché il cristianesimo ortodosso non è monolitico, ma diviso in varie chiese autocefale, cioè che fanno 'n po' come je pare.
Le chiese autocefale, dette anche patriarcati, sono a base approssimativamente nazionale, ma con la fine di Unione Sovietica e Jugoslavia la questione su cosa sia una nazione si è un tantino complicata.
Esistono quindi una quindicina di chiese ortodosse ufficiali, varie nuove chiese non riconosciute dalle altre, scimastici, vecchi credenti, eccetera, in un simpatico guazzabuglio da cui dovevo venire fuori in qualche modo.
Ho scelto quella che rappresenta il patriarcato di Costantinopoli, tra i vari patriarcati quello più vecchio e rispettato, anche se oggi nel suo territorio di cristiani ne sono rimasti pochini.
La chiesa si chiama San Teodoro Megalomartire il Tirone, e con un nome del genere non potevo lasciarmela scappare.
Si trova alle pendici del Palatino, nella zona dove si erano piazzati i dignitari bizantini, e risale al VI secolo.
Questa chiesa ha ospitato la lupa capitolina, forse il più noto simbolo di Roma, fin quando il papa Sisto IV la donò alla città.
Fuori garrisce l'aquila bicipite dell'Impero Bizantino, e se siete stati in Grecia nel periodo di ferragosto, probabilmente avrete visto un bel po' di queste bandiere.
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10 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (8)
Uno degli sport preferiti dai cristiani sin dall'inizio è stato quello quello di fare concilî, grosse riunioni di prelati per discutere cosa è eretico e cosa non lo è.
Altro sport assai praticato è quello di andarsene dal concilio sbattendo la porta, dicendo che è tutto sbagliato ed è tutto da rifare.
Alcuni cristiani se ne sono andati tantissimo tempo fa perché non erano d'accordo sul fatto che il figlio di Dio fosse sia dio che uomo, e sostenendo che fosse soltanto un dio.
Quelli che se ne intendono li chiamano monofisiti, e tra questi c'è la chiesa etiope.
Fino a pochi anni fa la chiesa etiope era tutt'uno con quella egiziana, che si chiama copta, ma dopo la seconda guerra mondiale è diventata autocefala, e si è data il nome di Tewahedo (ተዋሕዶ), una parola che vuol dire "che si fa uno" in Ge'ez, lingua non più parlata se non nei riti.
Per ragioni dovute alla nostra ridicola colonizzazione dell'Africa, a Roma c'è una comunità etiope da molti anni.
La loro chiesa è quella di S. Gioacchino e S. Anna ai Monti, si trova proprio davanti alla fermata Cavour della metro B, però loro la chiamano Santa Maria del Monte Sion.
Per la cronaca Gioacchino e Anna sono i genitori di Maria.
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09 luglio 2008
Er giro de 'e sette chiese (7)
Mi aspetto che questa la conosciate tutti, ma se così non fosse vi presento la chiesa di Santa Maria in Cosmedin, universalmente nota perché nel suo portico c'è la Bocca della verità.
Ingrandendo l'immagine potrete vedere la fila di gente in attesa di ripetere il tipico gesto da turista idiota.
La parola cosmedin vuol dire all'incirca ornamento, e ha la stesa radice di cosmetico.
È antichissima, costruita nel VII secolo insieme ad altre strutture della zona legate alla comunità greco-bizantina che all'epoca governava Roma.
Meriterebbe da sola un viaggio, per i famosi pavimenti cosmateschi (appunto) e le strutture medievali praticamente intatte.
Ci sono dentro perfino le colonne dell'annona, i mercati generali dei romani.
Quello che pochi sanno è che Santa Maria in Cosmedin è una chiesa melchita.
I melchiti sono tecnicamente dei cattolici, cioè riconoscono la supremazia del vescovo di Roma, ma hanno un rito, cioè la messa, differente.
I riti orientali sono uno scatafascio, e molti di questi sono rappresentati in varie chiese della capitale che fungono anche da chiese nazionali, come ad esempio i Maroniti per il Libano o i Copti cattolici per l'Egitto.
Questi riti sono il poco che resta del cristianesimo d'oriente, ormai estremamente minoritario in paesi quasi del tutto musulmani.
In Italia, a parte le chiese di rappresentanza a Roma, vengono praticati dalle comunità arbëreshë del sud.
La comunità melchita più grande oggi si trova addirittura in Brasile.
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