Nella lunghissima ricerca italiana del sistema elettorale perfetto, quello che garantisce governabilità e rappresentatività, quello che rende chiaro a tutti chi governa e chi no, quello che impedisce i ribaltoni e garantisce all'incontestabile capo maggioranze bulgare, si fa per dire dato in Bulgaria hanno il proporzionale, ci si è sempre incagliati su alcuni scogli per cui non esiste casistica internazionale da cui scopiazzare.
Ho detto italiana ma in realtà bisognerebbe dire del Partito Democratico, dato che sull'altra sponda la riforma elettorale quando gli è servita l'hanno fatta senza troppi giri di parole.
Dice il pensiero dominante che dovrebbero esserci due partiti, non due coalizioni, ma non si può imporre per legge il numero di partiti, partiti che quei birbantelli degli elettori continuano a votare in gran numero.
E dice, lo stesso pensiero, che dovrebbe esserci una maggioranza abbondante, per neutralizzare quei parlamentari che avessero l'ardire di votare in dissenso dal governo.
Abbandonato dunque dal PD il sistema francese, che come visto non garantisce tutte queste indispensabili cosette senza cui pare che l'Italia sia ingovernabile, ci si è avventurati in soluzioni piuttosto bislacche, il più delle volte descritte anche un po' superficialmente, tra cui la più recente è quella di fare un secondo turno tra i due partiti che andassero meglio degli altri.
Originale, vero? E invece no, e qui, nel piccolo di questo blog, mi permetto di dire che tale soluzione invece già esiste, ma forse i nostri noti esperti di sistemi elettorali non l'hanno considerata in quanto non proveniente dall'Europa, continente che in gran parte comunque si ostina ad avere quasi tutti sistemi proporzionali brutti e cattivi.
Presentiamo quindi il Bhutan, stato che prima dei tempi di Google e Wikipedia avremmo dovuto cercare su un atlante ottenendo qualche dato geografico e nulla più.
Il Bhutan è un piccolo stato a nord dell'India, fatto praticamente solo di montagne al cui confronto il nostro Monte Bianco verrebbe considerato una collinetta, governato fino a pochi anni fa da una monarchia di quelle con il re, la regina, i nobili, eccetera.
Il padre dell'attuale re decide, qualche anno fa, che la monarchia assoluta però è terribilmente burina, non è più cosa, e apre il paese alla democrazia abdicando subito dopo.
Seguono a questo punto, immagino, accese discussioni in dzongkha, la lingua locale, su come evitare sistemi elettorali con troppa frammentazione, con rischio di ribaltoni, con le tremende larghe intese, insomma immagino i legislatori bhutanesi che parlano proprio dell'Italia e alla fine producono questo semplice sistema che viene descritto in otto righe in inglese (per fortuna sono del tutto bilingue).
In Bhutan si fa così: al primo turno tutti i partiti, quanti se ne vogliono, si presentano in tutto il paese per un voto di lista, senza candidati o coalizioni; fatto il primo turno i due partiti più votati hanno il diritto di piazzare il loro candidato nei 47 collegi uninominali, numero dei parlamentari della camera bassa.
Di fatto a questo punto ci sono 47 ballottaggi tra due e solo due candidati, quindi un partito vince e l'altro perde, rendendo il sistema semplice ed elegante, maggioritario e bipolarista, senza neanche bisogno di un premio di maggioranza che qualche parruccone della nostra Consulta potrebbe trovare discutibile.
Chiedo quindi a questo punto, perché non dare a Cesare quel che è di Cesare? Perché invece di nomi buffi come "ispanico" i candidati alla segreteria del PD non dichiarano apertamente di essere per il maggioritario alla bhutanese? Basta con questa esterofilia che vale solo per Europa e Stati Uniti, il mondo cambia, è tempo di dirsi anche a favore degli stati dell'Asia del Sud.
Non bastasse questo argomento, visto che come si suol dire un'immagine vale più di mille parole, provate voi ad avere una foto di governo così.
11 novembre 2013
Sistemi elettorali freschi per bipolaristi marci: Bhutan
Scritto da Numero 6 alle 13:09 3 commenti
08 novembre 2013
Sistemi elettorali freschi per bipolaristi marci: Francia
La proposta di riforma elettorale del Partito Democratico, almeno fino alla segreteria Bersani, era il doppio turno di collegio. Il doppio turno è usato in diversi paesi, ma quello più noto in cui serve per eleggere tutto il parlamento è la Francia.
Il sistema francese viene spesso descritto come simile all'elezione del sindaco italiano, nonché come garanzia di maggioranze solide. In realtà è un po' diverso.
La Francia ha 577 deputati, quindi è divisa in 577 circoscrizioni di cui 11 estere, le quali votano esattamente allo stesso modo della Francia continentale.
Al primo turno i partiti presentano le loro candidature nelle singole circoscrizioni. Non sempre i partiti, compresi quelli maggiori, coprono tutte le circoscrizioni, dato che non è raro l'uso di accordi di desistenza tra partiti dello stesso schieramento.
A questo punto si vota e possono succedere due cose. Nel caso che uno dei candidati prenda la metà più uno dei voti espressi e che i suoi voti siano almeno un quarto degli aventi diritto nel collegio va dritto all'Assemblée nationale, altrimenti si va al secondo turno di ballottaggio, dove chi prende più voti vince e basta.
Chi partecipa al ballottaggio? Chi ha preso almeno un ottavo (12,5%) dei voti degli aventi diritto.
Teoricamente, con un'affluenza del 100%, si potrebbe avere un ballottaggio tra otto candidati, eppure se si vanno a vedere i ballottaggi si trovano, tranne poche eccezioni, sempre due candidati.
La prevalenza del ballottaggio a due è la vera chiave del sistema francese, e non ha nulla a che fare con il sistema elettorale, ma con un usanza che non è sancita da nessuna parte, pur venendo rispettata in modo quasi religioso.
I partiti francesi si riconoscono in due schieramenti, destra e sinistra: al momento del ballottaggio solo i candidati che hanno preso più voti a destra e a sinistra competono, mentre gli altri, anche se potrebbero, si ritirano, convergendo sul più votato.
L'appartenenza agli schieramenti è dichiarata in partenza: a sinistra
c'è il Parti Socialiste, i resti della galassia comunista che oggi si
chiamano Front de Gauche, i Verdi; a destra l'Union pour un mouvement populaire, che è il vecchio RPR gollista ampliato con altre piccole formazioni,
più vari partiti centristi e liberali talvolta nati dalla
disintegrazione dell'Union pour la démocratie française, che in Italia
chiamavamo giscardiani e che era schierata a destra.
Tutti e due gli schieramenti includono piccoli partiti regionali e i
"divers", gli indipendenti, che spesso hanno un ruolo impotante.
La ragione di questo è semplice: se due o più candidati di uno schieramento passassero al secondo turno insieme a uno dell'altro i voti degli esclusi potrebbero convergere su quest'ultimo, vanificando il vantaggio in una classica situazione da due litiganti con il terzo che gode.
Due caratteristiche culturali aiutano in
maniera decisiva il funzionamento del sistema francese: la sostanziale
assenza di crolli dell'affluenza tra primo e secondo turno e il rispetto
da parte degli elettori del voto allo stesso schieramento.
Meglio della teoria un esempio: Lione, dove il verde Meirieu, che avrebbe i requisiti, si ritira, sostenendo implicitamente (e facendo vincere) l'indipendente di sinistra Braillard.
Non tutto però è destra o sinistra, e ci sono eccezioni. Le due più importanti sono il MoDem di Bayrou, quello che piaceva tanto a Fioroni e che è un'altro pezzo della defunta UDF che però ha scelto la via solitaria, e soprattutto il Front National.
Quando uno di questi ha i requisiti per il ballottaggio si verificano i casi con più di due candidati.
Per esempio questa circoscrizione del Gard, dove c'è un terzetto con il FN, oppure questa dei Pyrénées-Atlantiques, dove il suddetto Bayrou perde il suo seggio sempre in uno scontro a tre.
Più su si è detto che il ritiro dei candidati peggio piazzati di uno schieramento non è una regola scritta, e infatti, anche se rarissimamente, viene violata.
Questo succede in particolare quando, per le ragioni più disparate, tra i due non corre buon sangue.
Il caso più famoso è quello di Olivier Falorni a La Rochelle, che pur essendo dietro al primo turno ha deciso di non ritirarsi, gesto che avrebbe lasciato via libera alla socialista Ségolène Royal dato che la candidata di destra non era passata.
Falorni era un socialista, ma non aveva condiviso la scelta dall'alto di candidare la Royal nel suo collegio, dunque aveva deciso deciso di candidarsi da indipendente di sinistra.
Il sistema francese fornisce praticamente sempre la maggioranza di uno dei due schieramenti ma non sempre quella di un partito, anche se questa maggioranza, non essendoci fiducia parlamentare al governo, non è importante come lo sarebbe in Italia.
Ma questo, al nostro paese i cui birbantelli elettori si ostinano a non ragionare in modo bipolarista e maggioritario, non può bastare: potrebbero non seguire l'accordo di schieramento o peggio starsene a casa al secondo turno.
Infine, con tre grandi partiti e non due come in Francia, ci sarebbe il rischio di non avere la megamaggioranza che proprio al PD spetterebbe nel dorato mondo dei sondaggi.
Di recente dunque il Partito Democratico ha cambiato idea, spostandosi sull'originale doppio turno di coalizione con premio, abbandonando quindi il francese.
Inutile ripetere che in nessun paese del pianeta si vota per una coalizione, e anche il premio di maggioranza è molto raro, ma a onor del vero andrebbe detto che un posto dove si è riusciti a realizzare il doppio turno che restituisce sempre e immancabilmente una maggioranza, cioè il sogno di Violante e d'Alimonte, esiste, e gli andrebbe tributata almeno la paternità dell'idea.
Sarà il tema della prossima puntata.
Scritto da Numero 6 alle 19:01 0 commenti