La proposta di riforma elettorale del Partito Democratico, almeno fino alla segreteria Bersani, era il doppio turno di collegio. Il doppio turno è usato in diversi paesi, ma quello più noto in cui serve per eleggere tutto il parlamento è la Francia.
Il sistema francese viene spesso descritto come simile all'elezione del sindaco italiano, nonché come garanzia di maggioranze solide. In realtà è un po' diverso.
La Francia ha 577 deputati, quindi è divisa in 577 circoscrizioni di cui 11 estere, le quali votano esattamente allo stesso modo della Francia continentale.
Al primo turno i partiti presentano le loro candidature nelle singole circoscrizioni. Non sempre i partiti, compresi quelli maggiori, coprono tutte le circoscrizioni, dato che non è raro l'uso di accordi di desistenza tra partiti dello stesso schieramento.
A questo punto si vota e possono succedere due cose. Nel caso che uno dei candidati prenda la metà più uno dei voti espressi e che i suoi voti siano almeno un quarto degli aventi diritto nel collegio va dritto all'Assemblée nationale, altrimenti si va al secondo turno di ballottaggio, dove chi prende più voti vince e basta.
Chi partecipa al ballottaggio? Chi ha preso almeno un ottavo (12,5%) dei voti degli aventi diritto.
Teoricamente, con un'affluenza del 100%, si potrebbe avere un ballottaggio tra otto candidati, eppure se si vanno a vedere i ballottaggi si trovano, tranne poche eccezioni, sempre due candidati.
La prevalenza del ballottaggio a due è la vera chiave del sistema francese, e non ha nulla a che fare con il sistema elettorale, ma con un usanza che non è sancita da nessuna parte, pur venendo rispettata in modo quasi religioso.
I partiti francesi si riconoscono in due schieramenti, destra e sinistra: al momento del ballottaggio solo i candidati che hanno preso più voti a destra e a sinistra competono, mentre gli altri, anche se potrebbero, si ritirano, convergendo sul più votato.
L'appartenenza agli schieramenti è dichiarata in partenza: a sinistra
c'è il Parti Socialiste, i resti della galassia comunista che oggi si
chiamano Front de Gauche, i Verdi; a destra l'Union pour un mouvement populaire, che è il vecchio RPR gollista ampliato con altre piccole formazioni,
più vari partiti centristi e liberali talvolta nati dalla
disintegrazione dell'Union pour la démocratie française, che in Italia
chiamavamo giscardiani e che era schierata a destra.
Tutti e due gli schieramenti includono piccoli partiti regionali e i
"divers", gli indipendenti, che spesso hanno un ruolo impotante.
La ragione di questo è semplice: se due o più candidati di uno schieramento passassero al secondo turno insieme a uno dell'altro i voti degli esclusi potrebbero convergere su quest'ultimo, vanificando il vantaggio in una classica situazione da due litiganti con il terzo che gode.
Due caratteristiche culturali aiutano in
maniera decisiva il funzionamento del sistema francese: la sostanziale
assenza di crolli dell'affluenza tra primo e secondo turno e il rispetto
da parte degli elettori del voto allo stesso schieramento.
Meglio della teoria un esempio: Lione, dove il verde Meirieu, che avrebbe i requisiti, si ritira, sostenendo implicitamente (e facendo vincere) l'indipendente di sinistra Braillard.
Non tutto però è destra o sinistra, e ci sono eccezioni. Le due più importanti sono il MoDem di Bayrou, quello che piaceva tanto a Fioroni e che è un'altro pezzo della defunta UDF che però ha scelto la via solitaria, e soprattutto il Front National.
Quando uno di questi ha i requisiti per il ballottaggio si verificano i casi con più di due candidati.
Per esempio questa circoscrizione del Gard, dove c'è un terzetto con il FN, oppure questa dei Pyrénées-Atlantiques, dove il suddetto Bayrou perde il suo seggio sempre in uno scontro a tre.
Più su si è detto che il ritiro dei candidati peggio piazzati di uno schieramento non è una regola scritta, e infatti, anche se rarissimamente, viene violata.
Questo succede in particolare quando, per le ragioni più disparate, tra i due non corre buon sangue.
Il caso più famoso è quello di Olivier Falorni a La Rochelle, che pur essendo dietro al primo turno ha deciso di non ritirarsi, gesto che avrebbe lasciato via libera alla socialista Ségolène Royal dato che la candidata di destra non era passata.
Falorni era un socialista, ma non aveva condiviso la scelta dall'alto di candidare la Royal nel suo collegio, dunque aveva deciso deciso di candidarsi da indipendente di sinistra.
Il sistema francese fornisce praticamente sempre la maggioranza di uno dei due schieramenti ma non sempre quella di un partito, anche se questa maggioranza, non essendoci fiducia parlamentare al governo, non è importante come lo sarebbe in Italia.
Ma questo, al nostro paese i cui birbantelli elettori si ostinano a non ragionare in modo bipolarista e maggioritario, non può bastare: potrebbero non seguire l'accordo di schieramento o peggio starsene a casa al secondo turno.
Infine, con tre grandi partiti e non due come in Francia, ci sarebbe il rischio di non avere la megamaggioranza che proprio al PD spetterebbe nel dorato mondo dei sondaggi.
Di recente dunque il Partito Democratico ha cambiato idea, spostandosi sull'originale doppio turno di coalizione con premio, abbandonando quindi il francese.
Inutile ripetere che in nessun paese del pianeta si vota per una coalizione, e anche il premio di maggioranza è molto raro, ma a onor del vero andrebbe detto che un posto dove si è riusciti a realizzare il doppio turno che restituisce sempre e immancabilmente una maggioranza, cioè il sogno di Violante e d'Alimonte, esiste, e gli andrebbe tributata almeno la paternità dell'idea.
Sarà il tema della prossima puntata.
08 novembre 2013
Sistemi elettorali freschi per bipolaristi marci: Francia
Scritto da Numero 6 alle 19:01
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