Chi segue da tempo questo blog sa che uno dei miei passatempi preferiti è quello di far parte dell'ufficio elettorale di sezione, un bel termine burocratico per dire che faccio lo scrutatore o il presidente o perfino il rappresentante, e per non farmi mancare nulla ho fatto le stesse cose anche alle primarie del PD.
Non ricordo se ho già avuto modo di scriverlo, ma io non sono un amante delle primarie, e per una lunga serie di ragioni.
Le considerazioni che farò sulle primarie in questo caso però non sono politiche, ma puramente tecniche.
Le primarie non sono ovviamente elezioni poltiche e nemmeno amministrative; sono però, per definizione, elezioni aperte alla più alta partecipazione possibile.
In teoria l'insieme dei votanti dovrebbe avere la stessa cardinalità degli elettori del PD, ma è un valore che non viene mai raggiunto.
È però vero che i numeri registrati finora, per esempio nel caso nazionale, sono paragonabili a quelli delle politiche di un piccolo paese Europeo, come Danimarca o Finlandia.
Le elezioni classiche però non sono soltanto l'infilare una scheda piegata in un'urna di cartone, anzi quel gesto è solo una parte di un processo lunghissimo che coinvolge molte persone.
Le liste elettorali sono continuamente revisionate dai comuni, il giorno prima delle elezioni tutto il materiale necessario è contemporanemente presente nelle migliaia di sezioni sparse in tutta la penisola, gli uffici elettorali dei comuni, le prefetture e il Ministero dell'Interno restano aperti per due giorni consecutivi notte inclusa.
Le operazioni di voto sono condotte seguendo una serie di controlli piuttosto scrupolosi, sotto gli occhi di impiegati comunali, rappresentanti di lista e forze dell'ordine.
Il numero di votanti viene controllato, oltre che dal Ministero attraverso gli impiegati, anche dai Carabinieri, a orari diversi rispetto a quelli delle comunicazioni ufficiali.
Alla fine tutto il pacchetto di schede e i verbali, in doppia copia, vanno a finire alla cancelleria del Tribunale mentre il Governo, che attraverso il Ministero ha il compito di organizzare tutto, cautelativamente non ci mette mano.
Con tutta la buona volontà, dato che i militanti hanno solo quella e non uno stipendio, come può un partito seppure ben organizzato pretendere di evitare intoppi o contestazioni?
La falla delle primarie è non solo questa, e sarebbe già grave, cioè non conoscere alla fonte il corpo elettorale, ma anche aggiungere il voto dei sedicenni e degli stranieri, di cui è possibile controllare sì e no la tessera dell'ATAC.
I comitati di garanzia sono composti da un pugno di iscritti; le verifiche necessarie, quelle per cui lo Stato impiega e paga migliaia di persone, sono del tutto al di fuori delle loro possibilità.
E anche se queste possibilità le avessero, cosa dovrebbero fare? Non ci sono appigli nello Statuto e nel Codice Etico del PD contro il voto degli immigrati pagati, a meno di non beccare in flagrante il candidato che gli dà i soldi, che è come trovare un assegno per Ruby R. pagato da Silvio B.
Potete magna' tranquilli, come dicono dalle mie parti.
È chiaro che se quello che vince prende l'ottanta percento c'è poco da discutere, siamo tutti compagni che bello che bello, ma se le cose vanno come a Napoli chi perde comincia ad attaccarsi a tutto, agli stranieri, ai camorristi, ai bassoliniani e a quelli del PDL che passavano di lì per caso.
Nessuno discute i quattro a zero, mentre tutti protestano per l'uno a zero con rigore al novantesimo, anche se il rigore è grosso come una casa; è umano, e quindi anche democratico.
Le primarie però non sono solo un disastro organizzativo
Un merito di cui si parla poco lo hanno: sono una fonte cospicua di finanziamento del Partito.
Il problema dei soldi per un partito come il mio è praticamente Il Problema, specialmente quando quello avversario i soldi li ha per sé stesso e altri sei o sette.
Il costo della politica, in termini di manifesti e volantini, è piuttosto contenuto, con un po' di sacrifici ci si riesce, e qualche sponsor per le feste dell'Unità si rimedia sempre.
Il vero dramma è l'affitto delle sezioni, e non stranamente molte di esse, anche storiche, hanno dovuto chiudere o fondersi, in particolare nelle grandi città dove anche un sottoscala con topi viaggia sui mille Euro al mese.
La soluzione che preferisco è una di quelle cose che con gli anni è diventata sinonimo del Male: il finanziamento pubblico.
Immagino attacchi di orticaria e rinite in qualche lettore, ma il principio alla base del finanziamento pubblico è chiaro come il sole: se la politica non è un mestiere la può fare solo chi ha già un altro mestiere che gli rende abbastanza.
Ci era arrivato perfino Pericle quei venticinque secoli fa, malgrado molti siano convinti che sia stato inventato da Craxi (me l'ha detto come al solito lui, Atene nel V secolo non è il mio terreno).
Senza finanziamento possono resistere due tipi di partiti: quelli che hanno un Paperone alle spalle, e già ne abbiamo uno, e quelli fatti con i "Mi piace" su Facebook.
Che a me non piacciono per niente.
26 gennaio 2011
C'era un cinese in fila
Scritto da Numero 6 alle 10:08
Etichette: All'inizio era un commento
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento