17 dicembre 2011

Come dire

(Un po' di tempo fa Gallizio, che è uno che non sapevo chi o cosa fosse, mi ha regalato un libro. All'inizio ho pensato che Gallizio fosse un ente benefico che dona libri agli sconosciuti, poi per un'occasione che non c'entra niente con l'editoria ho potuto accertare che invece è un uomo in carne e ossa. È molto alto)

Il libro è Come dire, di Stefano Bartezzaghi, il quale, oltre ad averne già scritti altri, qui in giro per la rete è l'autore di Lessico e Nuvole, blog di giochi linguistici.
Bartezzaghi è il figlio del noto enigmista Piero, che chi come me è figlio di appassionati enigmisti, cioè chiavi di casa, prima paghetta e prime parole crociate a schema libero, conosceva fin da ragazzino.

Siccome non sono bravo a fare le pagine culturali scrivo tre cose che mi hanno colpito del libro.

La prima è questa:
"Non abbiamo certo bisogno di dirci che i gerghi vivono sulla deformazione della lingua, anche se forse questa possibilità di deformazione dovrebbe dirci qualcosa a proposito della lingua, della sua duttilità e di quanto sia davvero impossibile (o inservibile) pensarla come un codice. Un codice ammette delle trasgressioni periferiche e occasionali, ma per il resto è sempre in vigore. secondo l'apparente paradosso dell'“eccezione che conferma la regola”. La lingua invece funziona diversamente."

La seconda, che segue uno dei temi più importanti del libro e cioè quello degli errori di grammatica, è che le infrazioni, o meglio quelle forme che vengono introdotte per la prima volta nella lingua, sono introdotte quasi sempre dai più grandi, come Calvino, Gadda o Queneau.
Che vuol dire, specialmente per gli strafalcionisti creativi, che anche di infrangere bisogna poterselo permettere.

La terza è legata al capitolo 23, un linguaggio in maschera (tutti i capitoli hanno titoli molto divertenti).
Questo capitolo, insieme al successivo, passa in rassegna l'uso del testo nella musica operistica e in quella pop, giungendo alla conclusione, per me condivisibile, che le parole in musica sono utili a patto di dimenticarsi cosa significano.
Ma la cosa che lo rende la ragione per cui leggersi il libro è il numero impressionante, e a me finora sconosciuto, dei modi di dire che usiamo oggi e che vengono dalle opere di Verdi.
In pratica è un magazzino di citazioni.

E si sa che sul web, senza una (cit.), non sei nessuno.

(Grazie ancora a Gallizio per il libro)

10 dicembre 2011

A Natale il primo “The Best Of” dei Chemical Chaltrons

The Chemical Chaltrons
Dopo appena due album - osannati da critica e pubblico non appena ritirati dalla distribuzione - uscirà a Natale per l'etichetta Postal Market Records il primo "The Best Of" dei Chemical Chaltrons. La raccolta s'intitolerà "Please, don't buy this best of" e conterrà al suo interno, oltre ai maggiori successi del duo labronico-capitolino, due remix realizzati a sua insaputa da Paul Oakenfold, dopo i postumi di una sbornia epocale da limoncello, una versione elettro-goth di un tipico canto natalizio abruzzese, un booklet biodegradabile con inserti glitterati in amianto e una decina di Bund tedeschi autografati da Angela Merkel in persona.

Come tiene a precisare l'ectoplasmatico duo Antobel&Numero 6 "La realizzazione del disco non è stata dettata affatto da esigenze commerciali, vista l'imminenza delle festività natalizie - come invece sostengono vigliaccamente alcune voci maliziose - bensì dalla necessità di scongiurare un calo d'attenzione nei nostri confronti da parte di pubblico e mass-media in virtù degli interminabili intervalli temporali che intercorrono tra le registrazioni dei nostri dischi. Purtroppo, o per fortuna, la gestazione dei nostri lavori è a dir poco maniacale - (ne sanno qualcosa le addette alla pulizia della sala di registrazione, ndr) - e finché tutto non ci soddisfa a pieno preferiamo ricominciare da capo, a costo di cambiare radicalmente le carte in tavola, le fidanzate, le auto aziendali e persino la nostra formazione nel torneo di fantacalcio".

Fatto sta, per dovere di cronaca, che ancor prima della sua uscita ufficiale la raccolta sembra avere già suscitato la curiosità degli addetti ai lavori perché bandita anzitempo da iTunes e da tutti gli altri digital-stores per la crudezza della sua copertina che, ricordiamo, ritrae Antobel&Numero 6 nell'atto di pagare l'IVA presso uno sportello dell'Agenzia Delle Entrate sotto gli occhi attoniti della Polizia Tributaria.
Buon ascolto e Buon Natale.

Dicono di loro:

“dopo l’ascolto di questo ‘Best Of’ per la prima volta in redazione non festeggeremo il Santo Natale” (Rockerilla)

“Da quanto ci risulta il cd è ancora sotto sequestro presso la dogana di Heathrow” (New Musical Express)

”Miss Dicembre ci ha querelato per colpa della pubblicità del cd collocata sotto le sue foto” (Playboy)

“L’ennesimo, riprovevole, attacco alla Chiesa. Un duro colpo anche per la morale cattolica” (Famiglia Cristiana)

“Nessun problema se il disco verrà distribuito da Roma in giù” (La Padania)

“Si sente e come la produzione artistica di Luciano Moggi” (La Gazzetta Dello Sport)

“Dalla prima all’ultima traccia, 38 minuti e 20 secondi: di gran lunga più lenti della nuova Nissan Micra 1.2 16V” (Quattro Ruote)

17 ottobre 2011

Il black bloc svela i piani di guerra

X. è viterbese, è un "nero", ha una laurea in Chimica e tecnologie farmaceutiche ("perché era pieno de fica", dice lui), e un lavoro precario da community mayorshipper.

In cosa consiste il suo lavoro?

Aiuto la gente a diventare sindaco su Foursquare.

È un lavoro difficile?

Sì, devo stare tutta la giornata davanti a Twitter, e dopo due anni ancora non ho un contratto a tempo indeterminato da quadro.

Come vi siete nascosti nel Movimento?

Il Movimento ci conosce benissimo, e ci conoscono anche le guardie, siamo quelli con le felpe nere Carhartt, però non quelle tarocche che hanno tutti.

Come vi siete preparati?

Eravamo divisi in due falangi, la prima, la "Rino Gaetano" era composta da circa 13 persone e mezzo, dato che uno è molto basso, e doveva intervenire appena passati davanti alla Base di via Cavour.

La Base nel senso di al Qaeda?

No, la pizzeria che è aperta pure alle 5 di mattina, che pure se è tutto congelato metti che ti viene fame dove altro vai?

E la seconda falange?

La seconda falange, la "Daniele Silvestri", aveva il compito di lasciare parcheggiata sin da venerdì sera una Mini piena di bombe carta, mazze, biglie e laser dei cinesi, che ci sarebbero serviti per la manifestazione.

Parcheggiata dove?

In doppia fila davanti alla Coin di San Giovanni. Non se n'è accorto nessuno.

Perché eravate così armati? Poteva scapparci il morto.

E quanti morti invece fa questo sistema? Chi è l'assassino di Steve Jobs? E l'arbitro Tagliavento?

Ma lei è romanista?

Non mi interessa il calcio, i calciatori fanno parte dell'1%, noi siamo l'altro 99%.

Come agite tatticamente?

Siamo divisi in batterie da 12, 15 persone, ogni batteria si schiera con gli scudi e le lance lunghe rivolte verso il nemico.

È la stessa organizzazione della falange macedone.

Infatti, solo che i macedoni l'hanno dimenticato e non se l'aspettavano.

I macedoni?

Sì, un fioraio verso via Labicana, era un bersaglio straordinario e prenderlo ai fianchi era uno scherzo.

E lui che ha fatto?

Ha chiamato un paio di amici suoi del campo nomadi di via di Salone e allora abbiamo pensato che forse non era l'obiettivo giusto della nostra guerra.

E qual è l'obiettivo giusto?

Siamo contro le banche, il debito sovrano, il precariato, la new wave italiana, il free jazz punk inglese e la globalizzazione che costringe i cittadini dei paesi dell'Est Europa a prendere la cittadinanza tedesca e segnare al terzo minuto di recupero.

Ma lei è proprio sicuro di non essere romanista?

Non mi interessa il calcio, i calciatori fanno parte...

Sì sì, ho capito, e allora cosa avete fatto?

Un'azione fortemente simbolica, abbiamo sputato a un vecchietto che andava in giro con i capelli bianchi lunghi legati dietro e diceva di aver votato contro.

Be', certo, proprio un'azione di guerra.

Non parlo di politica con un blogger.

E con chi ne parli?

Non te lo dico, ma non è finita: siamo già stati trending topic su Twitter per un giorno, possiamo esserlo ancora.

16 settembre 2011

L'indice

Mettiamo una sera a casa di amici, mettiamo che si conoscano tutti bene, mettiamo che si parli pure di cose un po' osé, ché tanto siamo tra vecchie conoscenze.
A un certo punto Terenzio, mentre si commenta l'attualità, se ne esce con "ma figurati, pure a Teobalda piace prendere le melanzane nel culo".
Teobalda, se dovessi regolarmi sulla mia piccola esperienza in fatto di donne, probabilmente si metterebbe a piangere dalla vergogna, o si girerebbe come una pantera verso Terenzio dicendogli che certe cose forse le fa sua sorella, o sua madre.
Io, cercando di continuare a mangiare nascondendo l'imbarazzo, o meglio il ribrezzo, troverei che Terenzio è un tizio da non vedere mai più.

Ci sono mille ragioni per cui parlare di quello che succede nella zona in mezzo alle gambe è considerato, almeno, da maleducati, e fanno parte di quella cosa che si chiama cultura, quella che studiano gli antropologi.
Io non sono antropologo, e semplicemente mi adeguo; non do informazioni sulla vita sessuale di chi mi circonda in mezzo alla strada, e considero chi lo fa un individuo spregevole.
È giusto? Non mi interessa, come non mi interessa la ragione per cui non ci spremiamo i brufoli al ristorante.
So che è così che mi hanno insegnato, e so che qualunque cosa di cui desideriamo la massima disponibilità, come le idee religiose o politiche, deve essere accompagnata da un po' di segretezza, e non credo che sia necessario spiegare il perché.

Eppure, in questo momento, su tutti i quotidiani e i social network della nazione sta succedendo proprio questo: la vita sessuale di un bel po' di gente, compresa di stramberie, viene resa del tutto pubblica.
Bacheche di Facebook, pagine di Friendfeed, blog o altro sono ben pieni di link a fonti sì variegate, ma tutte classificabili tra le fogne dell'informazione.
Si obietterà che si tratta di Berlusconi, che come noto è brutto, cattivo, non ha diritto alla riservatezza come tutti gli altri eccetera, eccetera, certamente, e il problema infatti sono proprio gli altri.

Non è strano che quei mezzi che parlano di rappresentazione deviata della femminilità siano gli stessi che oggi trovano giusto fare elenchi di ragazzacce debosciate le quali non solo non sono accusate di nulla, e già farebbe schifo così, ma vengono tirate dentro sulla base di indiscrezioni sulle intercettazioni?

Non pensate che se questo trattamento viene riservato a quello che è l'uomo più potente d'Italia, e quindi in grado di difendersi come nessun altro, voi che siete, come me, degli illustri signori nessuno nella stessa situazione vi trovereste ad affrontare un uragano con un filo d'erba?

Non pensate che, nel momento in cui l'onorevole Elzeviro Pippacci venisse arrestato per tangenti, voi che ci siete uscite per un po' dieci anni fa quando era assessore di Rocca Cannuccia vi potreste trovare a dover spiegare agli amici perché vi piaceva essere presa a frustate sulle chiappe?

Questo non è avanzare verso una società migliore o più giusta, ma il suo contrario, precipitare verso le torce e i forconi.
Non potete essere sicuri di non essere la prossima Teobalda.

02 luglio 2011

Prenestina

Scalinata Mark J. Sandman, Palestrina
Quando Mark Sandman se n'è andato io non conoscevo così bene i Morphine. C'era già il web, c'erano gli mp3 ma alla fine per conoscere gli indipendenti, quelli nel vero senso della parola, avevi bisogno di qualche iniziato che ti imbeccasse.
Non li conoscevo, eppure ricordo il giornale radio della mattina che dà la notizia, e i telegiornali, compresi quelli grossi, che lo ripetono durante la giornata;
forse perché quella cittadina vicino Roma, che organizzava un festival dal cartellone così internazionale, sembrava un posto un po' provinciale per far morire un americano.
Ma per me era comunque morto uno che faceva rock con un po' di jazz dentro, all'epoca abbastanza di moda, era morto quello della band che suonava senza la chitarra, e nient'altro.

Ieri un mio amico con le maiuscole e la sintassi incerte ha messo il video di The Night, e mi ha fatto tornare in mente tutto questo.
Ho pensato che siccome morire a quarantesei anni è ingiusto in ogni tempo e in ogni spazio, la storia potrebbe essere stata diversa.

Ho immaginato che quella divinità che aveva proposto ad Achille una giovane morte eroica al posto di un'anonima vecchiaia fosse andata dal nostro Mark a offrirgli lo stesso patto, morire sul palco mentre suonava invece che in un ridicolo hotel, morire vicino all'eterna Roma, nella cittadina dove secoli fa era nato uno dei creatori della musica moderna, invece che nella sua Boston.

Ho immaginato che Mark sarebbe stato un po' riluttante, ma che la divinità avrebbe rilanciato con l'intitolazione di una scalinata, ché neanche Syd Barrett e Ian Curtis hanno tutte queste strade con il loro nome, e perfino a De André hanno rimediato una piazzetta alla Magliana, mica tanto di più.

Ho immaginato che la divinità, come ultima offerta, lo avvisasse del fatto che sarebbe stato meglio morire prima che una folla piena di telefonini potesse riempire la rete di immagini e filmati del suo cadavere sul palco.

E che Mark, a quel punto, abbia detto di sì.

27 giugno 2011

Io confesso

Stavo pensando, il perché ve lo spiego dopo, che non posso scagliare la prima pietra.
Ho creduto finora che Berlusconi fosse un avversario politico ma mi sbagliavo: è un dittatore, e quindi contro di lui vale tutto.
Qualche vecchio scemo potrebbe obiettare che i dittatori non perdono le elezioni e i referendum, ma è una sciocchezza: Pinochet aveva perso un referendum, Milošević aveva perso le amministrative, quindi Berlusconi, per ineffabile logica, è un dittatore.

È altresì evidente che, essendo Berlusconi il male e di destra, chi sta con il bene e a sinistra deve essere contrario a qualunque cosa dica, e quindi questa riservatezza delle comunicazioni, che qualche poveraccio a corto di logica aveva perfino messo nella costituzione, sia un vecchio arnese che andrebbe pensionato.

Quindi, tornando all'inizio, devo dire che una volta ho falsato il regolare percorso verso il successo dei probi e degli onesti, una mia irresponsabile azione ha cambiato per sempre la storia di questo paese, ed è giusto che tutti sappiano.
In un momento verso la fine degli anni '80, che non ricordo esattamente ma che gli inquirenti sapranno trovare senza problemi, al telefono con un mio compagno di scuola ho pronunciato la seguente frase:

"Me sa che domani faccio sega, nun so un cazzo".

Dato che ultimamente va di moda sottotitolare anche il dialetto romano, preciso che la frase sopra può essere resa con "sono intenzionato a essere assente domani, dato che non ho studiato e non vorrei prendermi un'insufficienza".
Quello con cui parlavo, pur sapendo della mia intenzione non penalmente rilevante, non ha fatto una pubblica delazione come avrebbe dovuto, e sono pronto anche in questo caso a farne il nome, appena me lo ricordo.

Qualcuno sarà stato sicuramente interrogato al posto mio, avrà preso un votaccio, sarà diventato un precario e non può comprarsi l'iPad, e tutto per colpa mia.
Sono pronto a dimettermi, però ho appena notato che non sono membro praticamente di niente e quindi, dopo una penosa autocritica, ho deciso di restituire la tessera Mediaworld, in fin dei conti il televisore in offerta l'ho già preso.

(Per i meno attenti: questo è un articolo di dileggio verso una cosa che ha a che fare con il disgusto e con la riscossa morale, scritta su una fogna di giornale che non metto, guglatelo da voi, perché finché si scherza si scherza ma a certi livelli non pensavo ci si potesse arrivare. Meglio invece leggere questo.)

(Mi è anche venuto in mente ora che qualcuno potrebbe arrivare qui cercando la canzone di Piero Ciampi. Siccome ne avrebbe ragione e mi dispiacerebbe deluderlo, la metto)

06 giugno 2011

The winner takes a 60 percent majority

The winner takes it all
Sono state le elezioni in cui chi ha vinto non faceva parte del gruppo l'avevo scritto in un post del 2009 né del gruppo eliminiamo un dirigente a caso e prendiamo centomila voti sicuri, ma loro ovviamente pensano di sì.
Sono state le elezioni di Sucate e Giandomenico Puppa, di Pisapia canaglia, del favoloso mondo di Pisapie, ma anche le elezioni di questo capolavoro di jAsOn qui a fianco.
Peccato non si possa ricandidare; per una reunion così avrei preso la residenza in Lombardia e l'avrei votato.

28 aprile 2011

Āl ǧabr

Qualche giorno fa il sottosegretario Carlo Giovanardi, in un programma televisivo di un tizio con un nome buffo, ha avuto da ridire su una campagna pubblicitaria di un noto mobilificio svedese.
Riporto da ANSA:

"Contrasta a gamba tesa contro la nostra Costituzione, offensivo, di cattivo gusto. L'Ikea è libera di rivolgersi a chi vuole e di rivolgere i propri messaggi a chi ritiene opportuno. Ma quel termine 'famiglie' è in aperto contrasto con la nostra legge fondamentale che dice che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio, in polemica contro la famiglia tradizionale, datata e retrograda"

Per capire la dichiarazione studiamo un po' chi è Giovanardi.
Il senatore Giovanardi ha svolto quasi tutta la sua carriera politica nella DC e poi nell'UDC, ma alla vigilia delle elezioni del 2008 decide di passare da Berlusconi il quale, notoriamente generoso, gli regala il posto da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega a famiglia, droga e servizio civile.

Fatto sta che il mese scorso Tremonti ha tagliato i viveri, il Fondo per la famiglia, circa del 90%, rendendo la delega praticamente inutile.
A questo punto il nostro si è trovato improvvisamente con un sacco di tempo libero, che ha deciso di impiegare occupandosi di pubblicità.

Per quanto mi riguarda Giovanardi è liberissimo di trovare di cattivo gusto due uomini che si tengono per mano.
Anche a me non piacciono quelli che si slinguazzano per strada, o quelli che ci rendono edotti della marca delle loro mutande, ma io non sono sottosegretario e non me la prendo con famosi mobilifici, ed è per questo che finora non lo sapevate.

Fino a qui avremmo potuto liquidare la faccenda tra le lamentele di un vecchietto bacchettone, ma il senatore, sicuramente perché ha tempo di elaborare, parte per la tangente e teorizza il concetto di pubblicità anticostituzionale.
Concetto interessante, infatti ci sono stato a pensare un bel po', e alla fine ho deciso che potrebbe stare bene insieme ad altri simili come fuorigioco di Van der Waals e quadratura del Burkina Faso, e cioè tra le cose senza senso.

Sarebbe stato bello finire in gloria, ma non ci si è riusciti perché un deputato del PD, Giorgio Merlo, decide che non può non aver nulla da dire, e poi il mobilificio è veramente famosissimo, e quindi sul suo blog scrive questo:

“Un conto è denunciare il fallimento del Governo sulle politiche per la famiglia e per l’infanzia. È appena sufficiente ricordare il pesante taglio deciso dal Governo Berlusconi a favore delle famiglie italiane. Altra cosa, invece, è ricordare e custodire il valore costituzionale della famiglia. Su questo terreno il sottosegretario Giovanardi ha ragione. Senza se e senza ma. E il messaggio pubblicitario dell’Ikea va denunciato. Almeno per chi crede nel valore costituzionale della famiglia”.

Presentiamo anche l'onorevole Merlo, deputato eletto nella circoscrizione Torino, di lunga esperienza, membro della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, detta tra gli amici Vigilanza RAI.
Che fa la Vigilanza RAI? È una commissione di quaranta parlamentari, presieduta per cortesia istituzionale da un membro dell'opposizione, che si riunisce quando succedono casini nelle trasmissioni di Santoro.

Non che il nostro Michelone nazionale non ci provi spesso a far casino, ma non ci riesce sempre, quindi l'onorevole Merlo, come il collega Giovanardi, ha un sacco di tempo da perdere, che ha deciso di impiegare occupandosi di pubblicità.

La sua dichiarazione ha tutta l'aria di una preterizione, e parte anche bene, subito un'accusa ai tagli di Tremonti alle politiche per la Famiglia, e quasi ti viene da dire "vai Giorgio, vai!".
Poi però anche lui espone una sua teoria, elaborata probabilmente nelle lunghe passeggiate al Caffé Sant'Eustachio, che guardacaso coincide con quella di Giovanardi, e per la quale valgono le considerazioni fatte sopra.

L'obiezione più scontata sarebbe "oh mio dio abbiamo nel partito uno che dice le stesse cose di uno dell'altro partito", ma è sbagliata.
È sbagliata perché il PD è, o aspira a essere, un partito di massa, e partito di massa significa che si prende un modello economico e sociale che comporta una redistribuzione della ricchezza (in un verso o nell'altro), si ha una struttura territoriale, uno stato maggiore (segreteria), un metodo di selezione dei dirigenti, e soprattutto che si cerca di prendere un bel po' di voti, diciamo un 30% (magari).

Da qui è evidente che questo tipo di partito deve abbassare alcune soglie di accettabilità, e nella maggior parte dei casi queste soglie sono proprio i diritti civili, intesi come quelli che non sono già nella Costituzione.
Questo non perché, ci fosse bisogno di dirlo, abbiano minore importanza, ma per la ragione storica per cui un'aggregazione politica grande non si è mai realizzata su temi del genere, neanche quando, come per esempio nel caso della legge 194, questi erano largamente maggioritari tra gli elettori.

Il problema è che l'idea di partito di massa confligge malamente con l'idealismo, il che è causa di innumerevoli discussioni che non hanno nessuna speranza di trovare una sintesi.
Se siete degli idealisti guardate altrove, non fatevi salire la pressione perché si fanno (aaaargh) compromessi, e soprattutto non fate salire la pressione a me cercando di farmi cambiare idea.

Con questo però non voglio dire che l'onorevole Merlo sia esente da critiche.
Per quanto il suo commento sia personale, dato che non ha incarichi di segreteria, quello che dice non va bene, e non per le sue personali convinzioni in materia di uomini mano nella mano, ma perché mette nella sua equazione due termini che non sono in nessun modo confrontabili.
È doveroso, per un membro dell'opposizione, mettere all'indice i tagli del governo, ma non bilanciarli dialetticamente con la critica a una reclame che onestamente è soltanto paracula, e quindi per definizione azzeccata.

Bisogna far capire agli elettori dove si sta politicamente, senza "ma anche".
Nel caso ciò sia impossibile, almeno sedere in commissione Affari Costituzionali, dove di tempi morti ce ne sono assai di meno.

04 aprile 2011

Oh, è tutto così silenzioso

Da bambino, ma non ricordo bene a quale età, mi capitava di fermarmi a guardare la lavatrice.
Seduto là davanti cercavo di dare un senso alla sequenza di giri che facevano plush plush, e alle pause che li seguivano, ma soprattutto ero affascinato dalla ruota dei programmi, qualla cosa che faceva crac crac e decideva, in qualche modo oscuro, cosa doveva fare la lavatrice.
C'erano già pesanti indizi che sarei diventato un tecnocrate.

Alla fine dei plush plush c'era immancabilmente il ragnarok del lavaggio: la centrifuga.
I panni sparivano sui bordi e in mezzo c'era il nulla, un buco nero come ce lo immaginavamo nei film di fantascienza dell'epoca, l'apparato tremava e rumoreggiava fortissimo.
Io però avrei fatto la centrifuga all'inizio, perché così mi sembrava che lavatrice stesse dando la mazzata finale ai panni, e invece si sarebbe dovuto partire forte e finire dolcemente, ché magari i panni erano stanchi.
C'erano già pesanti indizi che sarei diventato di sinistra.

La rotella dei miracoli diceva cose un po' per iniziati: crac prelavaggio, crac crac molto sporchi, crac crac crac crac seta e delicati.
Cos'è il prelavaggio? Come faccio a capire cosa è sporco e cosa lo è molto?
Non serve più, perché ora c'è ciclo camicie, ciclo piumini, ciclo calzini, ciclo calzini del calcetto.
È probabile che oggi ci siano molti più uomini che devono far funzionare la lavatrice da soli.

O forse no, forse anche le lavatrici, come i telefonini o i sistemi operativi, hanno semplicemente un'interfaccia più umana.
Qualcuno deve aver pensato che fosse giusto anche per i diversamente lavandai avere una certa facilità d'uso di un mezzo così importante.
In una riunione di un'ipotetica azienda tra commerciale e i tecnici più o meno deve essere andata così:

"allora, la concorrenza sta progettando una lavatrice che invece di dire come si deve lavare dice cosa si deve lavare"
"embe'?"
"e allora noi dobbiamo uscire prima, serve un progetto"
"saranno almeno sei mesi di lavoro" (ma almeno, ma infatti)
"non se ne parla, dobbiamo fare molto prima"
"con questi requisiti ci sono delle criticità evidenti" (bravo, bene, diglielo)
"facciamo un paio di bottiglie di Borgogna nel pacco di Natale?"
"cantine indipendenti francesi?"
"mi pare ovvio"
"però qui nei requisiti alcune cose ancora..."
"apriamo le porte di eMule nel proxy aziendale"
"in una quindicina di giorni dovremmo farcela"


Sì, è così, abbiamo il ciclo camicie e non i panni sporchi perché siamo esseri umani, e gli esseri umani vanno avanti.
E vanno avanti anche per errori, anche mettendo cose come il Diario su Outlook o il Push to Talk sui telefonini, che nessuno a memoria d'uomo ha mai usato ma che probabilmente uscivano da una riunione come quella sopra.

Fatti non fummo a viver come bruti, ma per andarcene in giro come l'Enterprise, arrivare dove nessuno è mai giunto prima, e non tornare indietro.
Ditelo quando sentirete dire che è tornato il vinile o vi parlano di decrescita, ditelo che sono cose insensate, che stiamo qui per cercare di curare malattie orribili come per lavare i panni più velocemente di prima, per non lavarli proprio, per arrivare al centro senza dover cercare parcheggio con la camicia pulita.

Una volta che si è conquistato qualcosa che ci piace non lo si molla più, anche se costa la fine dei vecchi stili di vita, costo che paghiamo volentieri, come paghiamo la luce o il gas.
Generazioni di umani hanno vissuto senza luce e gas? Verissimo. E chi se ne frega?
Tutti cercano la ragazza bella e vicino casa. Si è mai sentito qualcuno dire "la voglio bassa, culona, con i denti storti e residente a Casal Bernocchi"?

E dite pure che la lavatrice, alla fine, non è neanche troppo complicata.
È la lavastoviglie il problema: non immaginavo ci fossero così tanti tipi di piatti.

29 marzo 2011

Tre storie

Un po' di anni fa, un bel po', c'era una canzone che Radio Rock passava tutti i giorni, più volte: Tutti al mare.
Era un pezzo di un gruppo livornese, i Virginiana Miller, dal loro primo album, Gelaterie sconsacrate, che è pure un bel titolo.
A forza di sentirla ci era venuta voglia di andarli a vedere, suonavano a un centro sociale alla Garbatella, la Strada.
Il centro sociale ancora esiste.

Pochi anni fa, quando scrivevo più di adesso su questo blog, una ragazza mi lasciò un commento dicendo che il blog le piaceva.
Io la ricontattai e le chiesi ma chi sei e lei dice per adesso vado a scuola ma mi piace la musica da vecchi tipo i Virginiana Miller ma davvero pensa io li ho visti a un centro sociale alla Garbatella e lei infatti da grande voglio organizzare i proprio i concerti.
Alla fine c'è riuscita.

Poi c'è una mia amica da una vita che fa le foto ai concerti e ne fa un sacco e nel frattempo fa pure la professoressa di matematica informatica ma secondo me si diverte di più ai concerti.
La mia amica mi dice andiamo a vedere i Virginiana Miller e Colapesce e allora io dico che li ho visti al centro sociale e basta sono dieci anni che racconti sempre di questo centro sociale e il concerto manco avessi visto i Velvet Underground.
In effetti.

Insomma quasi quasi vado al concerto ma mi dicono che il concerto è acustico. Acustico? L'unplugged? E che siamo negli anni '90? Ma tirate fuori il distorsore e al diavolo voi e certe fichettate, che pare di stare a San Lorenzo.
E prima c'è il reading. E no, e basta, adesso pure il reading? Poi che c'è? La cena etnica? Io ai reading non ci vado mai.
Vabbè, quasi mai, ci vado se li fanno a Cerreto Daisy, ma è raro.

E insomma vado a vedere i Virginiana Miller, il concerto acustico, dopo il reading.
Ci vado perché mi piacciono sempre, e mi piacciono perché sono livornesi, e io Livorno fino a qualche anno fa non la conoscevo per niente.
E se penso a Livorno mi viene in mente l'Aurelia, e l'Aurelia è di sicuro in qualche pezzo, e penso al Tirreno e il Tirreno c'è, e penso al mare e all'estate che sono un po' in tutte le loro canzoni, e il Commodore 64 e il tennis che lo so che con Livorno non c'entrano niente ma mi sono venuti in mente adesso.
E poi a me quelli che dal vivo sono bravi, quelli che anche se la canzone è fiacca riescono a fartela piacere, ecco, a quelli così alla fine io gli voglio bene, e anche se cantano che l'estate è finita, come Califano, come i Righeira, come i Grandaddy, non fa niente, tanto quando l'estate è finita si è sempre tristi, e a Livorno dove ci sono il mare e la spiaggia si è tristi il doppio, e le canzoni tristi il doppio stringi stringi ci piacciono un sacco, tipo How Soon is Now degli Smiths che uno giustamente pensa che è proprio una canzone da spararsi però poi stai lì a urlare I am huuman and I need to be looooved perché tanto lo sai che certe cose le canti perché dopo stai meglio.

Dopo ho visto pure il concerto di Colapesce che non conoscevo e neanche mi fidavo molto e invece devo dire è come Spinaceto cioè Colapesce, pensavo peggio.

07 febbraio 2011

Quer pasticciaccio bello

Capita che una sera, per una manciata di motivi qualsiasi, non ti trovi a girare per la città nella quale sei nato e cresciuto e dove ancora vivi ma invece tanto per cambiare zompi qua e là tra i soliti feed, quando ti capita questo.
Non hai bisogno di spiegazioni, sai già cos'è, com'è nato, come si è sviluppato, sai che l'Adobe ha creato il formato PDF proprio per lui, ché prima usavamo Wordstar.

Sai anche che, visto l'esperimento milanese venuto bene, ha detto a una che conosci che sarebbe proprio una bella idea farne uno anche per Roma, magari un po' diverso, lo stesso tema però con l'ottica rovesciata, questa è la foto ma non vi dico altro, e adesso voi che non siete romani mi scrivete che cosa vi viene in mente a proposito della mia città.

All'inizio fai il vecchio blogger brontolone che ne sa, pare facile, ma chi te lo fa fare, a questi li conosco gli viene il panico da cursore lampeggiante su Documento1.doc, scrivere di Roma non è mica scrivere di Soriano nel Cimino, poi tocca impaginare, ti romperanno le scatole per lo spazietto qua e la virgoletta là, ti manderanno dieci versioni identiche tranne che per un imperfetto sostituito con un passato remoto.

E invece no, anche se sembra incredibile tutti accettano felici e anzi, avevano tutti dei racconti già pronti e non aspettavano altro che un'occasione così, in realtà è sempre stato il loro hobby, ne hanno anche per quando la stessa cosa si farà per Napoli, Genova e Soriano nel Cimino.
Tempo mezz'ora quaranta minuti arrivano tutti gli scritti, le foto sono tutte perfette senza nulla da tagliare o raddrizzare, l'impaginatore se la sbriga in dieci minuti e si stupisce anche lui della facilità e si offre volontario per le prossime occasioni.

Un paio d'ore ed era tutto pronto.

È andata proprio così.

Giuro.

(qui, PDF, 22 MB)

26 gennaio 2011

C'era un cinese in fila

Chi segue da tempo questo blog sa che uno dei miei passatempi preferiti è quello di far parte dell'ufficio elettorale di sezione, un bel termine burocratico per dire che faccio lo scrutatore o il presidente o perfino il rappresentante, e per non farmi mancare nulla ho fatto le stesse cose anche alle primarie del PD.
Non ricordo se ho già avuto modo di scriverlo, ma io non sono un amante delle primarie, e per una lunga serie di ragioni.
Le considerazioni che farò sulle primarie in questo caso però non sono politiche, ma puramente tecniche.

Le primarie non sono ovviamente elezioni poltiche e nemmeno amministrative; sono però, per definizione, elezioni aperte alla più alta partecipazione possibile.
In teoria l'insieme dei votanti dovrebbe avere la stessa cardinalità degli elettori del PD, ma è un valore che non viene mai raggiunto.
È però vero che i numeri registrati finora, per esempio nel caso nazionale, sono paragonabili a quelli delle politiche di un piccolo paese Europeo, come Danimarca o Finlandia.

Le elezioni classiche però non sono soltanto l'infilare una scheda piegata in un'urna di cartone, anzi quel gesto è solo una parte di un processo lunghissimo che coinvolge molte persone.
Le liste elettorali sono continuamente revisionate dai comuni, il giorno prima delle elezioni tutto il materiale necessario è contemporanemente presente nelle migliaia di sezioni sparse in tutta la penisola, gli uffici elettorali dei comuni, le prefetture e il Ministero dell'Interno restano aperti per due giorni consecutivi notte inclusa.

Le operazioni di voto sono condotte seguendo una serie di controlli piuttosto scrupolosi, sotto gli occhi di impiegati comunali, rappresentanti di lista e forze dell'ordine.
Il numero di votanti viene controllato, oltre che dal Ministero attraverso gli impiegati, anche dai Carabinieri, a orari diversi rispetto a quelli delle comunicazioni ufficiali.
Alla fine tutto il pacchetto di schede e i verbali, in doppia copia, vanno a finire alla cancelleria del Tribunale mentre il Governo, che attraverso il Ministero ha il compito di organizzare tutto, cautelativamente non ci mette mano.

Con tutta la buona volontà, dato che i militanti hanno solo quella e non uno stipendio, come può un partito seppure ben organizzato pretendere di evitare intoppi o contestazioni?
La falla delle primarie è non solo questa, e sarebbe già grave, cioè non conoscere alla fonte il corpo elettorale, ma anche aggiungere il voto dei sedicenni e degli stranieri, di cui è possibile controllare sì e no la tessera dell'ATAC.
I comitati di garanzia sono composti da un pugno di iscritti; le verifiche necessarie, quelle per cui lo Stato impiega e paga migliaia di persone, sono del tutto al di fuori delle loro possibilità.

E anche se queste possibilità le avessero, cosa dovrebbero fare? Non ci sono appigli nello Statuto e nel Codice Etico del PD contro il voto degli immigrati pagati, a meno di non beccare in flagrante il candidato che gli dà i soldi, che è come trovare un assegno per Ruby R. pagato da Silvio B.
Potete magna' tranquilli, come dicono dalle mie parti.

È chiaro che se quello che vince prende l'ottanta percento c'è poco da discutere, siamo tutti compagni che bello che bello, ma se le cose vanno come a Napoli chi perde comincia ad attaccarsi a tutto, agli stranieri, ai camorristi, ai bassoliniani e a quelli del PDL che passavano di lì per caso.
Nessuno discute i quattro a zero, mentre tutti protestano per l'uno a zero con rigore al novantesimo, anche se il rigore è grosso come una casa; è umano, e quindi anche democratico.

Le primarie però non sono solo un disastro organizzativo
Un merito di cui si parla poco lo hanno: sono una fonte cospicua di finanziamento del Partito.
Il problema dei soldi per un partito come il mio è praticamente Il Problema, specialmente quando quello avversario i soldi li ha per sé stesso e altri sei o sette.

Il costo della politica, in termini di manifesti e volantini, è piuttosto contenuto, con un po' di sacrifici ci si riesce, e qualche sponsor per le feste dell'Unità si rimedia sempre.
Il vero dramma è l'affitto delle sezioni, e non stranamente molte di esse, anche storiche, hanno dovuto chiudere o fondersi, in particolare nelle grandi città dove anche un sottoscala con topi viaggia sui mille Euro al mese.

La soluzione che preferisco è una di quelle cose che con gli anni è diventata sinonimo del Male: il finanziamento pubblico.
Immagino attacchi di orticaria e rinite in qualche lettore, ma il principio alla base del finanziamento pubblico è chiaro come il sole: se la politica non è un mestiere la può fare solo chi ha già un altro mestiere che gli rende abbastanza.
Ci era arrivato perfino Pericle quei venticinque secoli fa, malgrado molti siano convinti che sia stato inventato da Craxi (me l'ha detto come al solito lui, Atene nel V secolo non è il mio terreno).

Senza finanziamento possono resistere due tipi di partiti: quelli che hanno un Paperone alle spalle, e già ne abbiamo uno, e quelli fatti con i "Mi piace" su Facebook.
Che a me non piacciono per niente.

04 gennaio 2011

Cose che forse vi siete persi

Prima che ci fossero gli eventi su Facebook, prima di Last.fm, prima delle newsletter, prima che il Circolo degli Artisti si trasferisse a via Casilina, era molto meno facile sapere chi suonava in giro per la capitale.
Serviva fortuna, qualche amico ben inserito, magari un posto dove bene o male qualcosa si strimpellasse comunque.
Avrete intuito dall'introduzione che si tratta di un post da vecchi, e infatti lo è.

Il Metropolis era un locale che stava a via Rasella, proprio quella dell'attentato che causò la rappresaglia della Fosse Ardeatine.
Era un posto che oggi non passerebbe neanche un controllo di sicurezza dei vigili di un paesello della Guinea Bissau, e lo sapevamo già allora, ma c'erano due buonissime ragioni per cui del pericolo ce ne infischiavamo.

La prima era che la tessera, ché se ne gli anni '90 non avevi la tessera non eri nessuno, costava cinquemila lire al mese.
Potete invocare l'inflazione, il potere d'acquisto dei salari, l'Euro o quel che volete, ma cinquemila lire al mese erano comunque niente.

La seconda è che c'era un live tutte le sere, ma tutte tutte.
Certo, per avere il cartellone sempre pieno si doveva accettare qualche compromesso;
c'erano diverse volte che quelli sul palco avrebbero meritato bottigliate alla Blues Brothers, o cover band di gente che ti stava sul cazzo anche in originale, ma tanto era praticamente gratis, e a caval pagato poco non guardi molto in bocca.

Il locale era a due piani: al piano terra c'era il bar, e a quello interrato la sala concerti.
I due spazi erano collegati da una scala talmente stretta da non passarci in due, e che avrebbe impedito qualunque eventuale tentativo di fuga, per fortuna mai sperimentato.
La sala concerti, anche se sala è una parola grossa, aveva a destra una serie di panchette e a sinistra delle nicchie dove c'era un tavolino.
Arrivando abbastanza presto si poteva star lì a fumare (si poteva), fumare cose molto aromatiche (non si poteva ma ogni tanto passava uno ad avvisare che ce stanno 'e guardie), bere seduti.

Il bere era forse l'esperienza che più contraddistingueva il locale.
Ovviamente si doveva passare per il bar, e lì c'era la vera star del metropolis, il barista.
Immaginate un tizio abbastanza somigliante a Frank Zappa, sempre vestito con jeans nero e cappello nero, sempre con la stessa espressione.
Si raccontava che qualcuno l'avesse anche sentito parlare, e infatti a me era capitato, perché una volta mi corresse il nome della birra che avevo chiesto.
La birra che poi era l'unica disponibile al bar, tale XXXX, una terrificante australiana che andava pronunciata four exes.

Un giorno il Metropolis chiuse, senza concertone d'addio, senza tutto gratis finale, da un giorno all'altro la serranda era chiusa, e anche se non sono passato di recente a controllare non ho mai saputo se al posto di quel mitico locale sia mai stato aperto qualcos'altro.
Girarono infinite leggende sul motivo della chiusura, una più bislacca dell'altra, ma alla fine il perché non l'abbiamo mai saputo.

Un post da vecchi non sarebbe tale senza l'aneddoto, e quindi mi accingo.
Una sera suonavano gli XO War, band metal che poi mi è capitato di rivedere anche su altri manifesti all'epoca, ma che io e i miei amici, che con il genere non ci facevamo granché, non avevamo mai sentito nominare.
C'era un sacco di gente, e in una pausa del concerto il batterista, completamente sudato fradicio e praticamente nudo, imboccò nella nostra nicchia urlando "aoh, nun state a poga' pe' 'n cazzo, li mortacci vostra!".
Poi tornò a suonare, proponendo come bis la cover di Territorial Pissing dei Nirvana.